L'onda lunga che travolge quasi tutto

di FABIO PONTIGGIA - Dopo due anni di maggioranza relativa in Consiglio di Stato, la Lega dei ticinesi avanza ancora. Non solo a Lugano, ma ovunque si voti. Il movimento del defunto presidente Giuliano Bignasca è entrato in Municipio nel nuovo Comune di Terre di Pedemonte, ha fatto il suo ingresso in quello di Mendrisio e ha clamorosamente sbancato Lugano. A farne le spese sono stati tutti i partiti (tranne i Verdi), ma soprattutto le due formazioni che sono sempre state il punto di riferimento del sistema politico ticinese: il PLR e il PPD.I liberali radicali, dopo aver perso la capitale politica per la fuoriuscita di Brenno Martignoni e non averla saputa riconquistare quando il sindaco ribelle è stato estromesso dal Municipio, perdono ora la capitale economica. Il PPD dice addio alla maggioranza assoluta nel polo mendrisiense (acciuffata quattro anni fa per un pugno di schede) e soprattutto viene retrocesso a quarto partito, alle spalle del PS, a Lugano, con una forte, sorprendente perdita di consensi.Nemmeno il Partito socialista riemerge indenne dall?ondata leghista. Indietreggia un poco a Mendrisio e parecchio a Lugano. La mancata presenza in lista, per motivi diversi, di due personalità di spicco del socialismo ticinese (gli ex consiglieri di Stato Rossano Bervini nel Magnifico Borgo e Patrizia Pesenti sulle rive del Ceresio) ha giocato un ruolo non indifferente.Il conto più pesante è tuttavia quello che le urne hanno presentato ai liberali radicali. La sconfitta di Giorgio Giudici a Lugano è bruciante e gravida di implicazioni non solo sul piano cittadino. Quasi 1.500 voti di distacco da Marco Borradori sono molti, quasi due punti percentuali in termini di schede nella corsa per l?Esecutivo pure; il minivantaggio nella ripartizione dei seggi in Consiglio comunale è una magra consolazione. A parte le roccaforti storiche (Besso da un lato e i quartieri benestanti dall?altro), la base dei consensi all?ex partitone è franata, in particolare negli ex Comuni della cintura e a Molino Nuovo.Già cinque anni fa il sindaco uscente aveva perso per strada 1.500 voti personali in una Città più grande e sebbene gli elettori avessero potuto esprimere più preferenze personali, dopo il cambiamento della legge elettorale. La sfida, per molti versi coraggiosa, con Marco Borradori gliene ha fatti recuperare quasi 2.600 in una Città ancor più grande, ma ciò non è bastato a scongiurare un sorpasso che non era scontato ed è risultato più netto di quanto avessero indicato i sondaggi. Spetterà prima di tutto ai responsabili del PLR stesso indagare le ragioni della débacle. Si possono tuttavia proporre due chiavi di lettura. La prima. Giudici è stato un grande sindaco, ma è stato sindaco troppo a lungo. È stato veramente l?architetto della Nuova Lugano: ha attuato una politica fatta di idee, progetti e realizzazioni e non solo o non tanto di proclami, tagli di nastri e apparizioni televisive. Ma 29 anni al potere quale (ottimo) sindaco (34 quale municipale) sono tanti, secondo non pochi cittadini sono troppi, per i rischi che questa lunga, quasi interminabile gestione del potere comporta, al di là del dinamismo e della capacità di visioni moderne che Giudici ha dimostrato di possedere intatti.Secondo aspetto, finora poco o punto considerato. La politica della concretezza, dei fatti, delle realizzazioni, in alternativa alla politichetta delle chiacchiere e dell?apparenza, è un valore inestimabile in democrazia. A una condizione: che poggi su solide basi finanziarie, che venga cioè supportata dalla disponibilità delle necessarie risorse. Negli ultimi anni questa condizione è venuta progressivamente a mancare: Lugano ha progettato, costruito e quindi speso troppo, più di quanto i principi di una corretta gestione della cosa pubblica – fondamentali nell?ottica liberale – permettessero. Non si possono fare le cose in grande, come sta facendo la Città, con un gap di 15 punti tra il moltiplicatore d?imposta aritmetico (che misura la realtà) e il moltiplicatore d?imposta politico (che esprime i desideri di chi siede nell?Esecutivo e nel Legislativo). Sui deficit e sui debiti – lo ricordava il liberale Einaudi – non si costruisce nulla per il futuro. E Lugano oggi sta costruendo sui deficit e sui debiti. La realtà presenterà il conto, molto pesante, nella nuova legislatura. E su questo fronte – vale a Lugano come vale sul piano cantonale – il ruolo guida e quindi la responsabilità spettano al Partito liberale radicale: se il PLR manca di lucidità e coerenza quanto a sostenibilità finanziaria delle politiche dei progetti e delle realizzazioni, prima o poi l?elettorato lo punisce.Nel Municipio luganese le redini del comando passano ora di mano, esattamente come avvenne due anni fa in Consiglio di Stato. Marco Borradori ha dimostrato di poter vincere qualsiasi battaglia. Quasi un votante su due gli ha dato il preferenziale. Si è parlato in lungo e in largo, per queste comunali, di effetto Bignasca. In realtà su Palazzo Civico c?è stato soltanto un effetto Borradori. Il Nano è risultato sì terzo, davanti a Foletti, ma da morto ha preso gli stessi voti complessivi che aveva preso cinque anni fa da vivo (9.001 contro 8.990, con un corpo elettorale allargato). Senza Borradori in lista, l?ondata emotiva per la scomparsa del leader leghista non si sarebbe tradotta nell?ondata di consensi che invece c?è stata e che è stata determinante per il ribaltone in Municipio. La Lega, oggi più che mai, è Borradori. Lo sarà ancor più domani, tanto a Lugano quanto, di riflesso, in Ticino. E una Lega educata potrebbe dare ancor più filo da torcere agli altri partiti.