Il commento

Londra, l’isolamento che fa paura

Il commento di Gerardo Morina
©EPA/HAYOUNG JEON
Gerardo Morina
Gerardo Morina
22.12.2020 06:00

«C'è nebbia sulla Manica: il continente è isolato». Quando il Times di Londra pubblicò questo titolo negli anni Trenta del secolo scorso, gli inglesi non ci trovarono nulla di illogico o arrogante: se la nebbia impediva la navigazione nel Canale, era ovvio che ad essere tagliata fuori non era la Gran Bretagna, ma l'intero continente. Oggi però la storia si vendica e a patire l'isolamento è ogni lembo di terra che si trova al di là dello Stretto di Dover. Il Regno Unito è infatti piombato nel caos dopo la decisione francese di chiudere per 48 ore tutti i collegamenti in seguito alla scoperta di una mutazione del Coronavirus nella zona a sud est del Paese. Migliaia di camion che ogni giorno si riforniscono di prodotti alimentari in Belgio e in Francia si trovano fermi nel Kent. Il blocco francese è destinato ad avere un effetto devastante sulla catena della distribuzione. Negli ultimi giorni lunghe code si sono formate su entrambi i lati della Manica a causa delle scorte per la Brexit e della corsa al Natale. Ora la chiusura dei confini peggiora in maniera drammatica la situazione. Il livello di criticità aumenta a vista d'occhio , soprattutto se si considera che la metà delle merci scambiate tra il Regno Unito e l'Unione europea e circa il 90 per cento del traffico di TIR avvengono attraverso la Manica. La gente comincia ad avere paura e il premier britannico Boris Johnson è sempre più criticato dopo che l'ultimo termine di scadenza con la UE per la Brexit è trascorso domenica senza un nulla di fatto e quindi, dal 1. gennaio, i commerci con l'Europa saranno condotti sulla base di leggi incerte e provvisorie, leggi che il Parlamento europeo non farà in tempo ad approvare anche se fosse raggiunta un'intesa nei prossimi giorni.

Le misure imposte da Johnson prevedono per gran parte del Regno Unito la chiusura dei negozi non essenziali, dei ristoranti, dei pub, dei cinema e dei teatri. Le persone a forte rischio di contagio, come gli anziani, non possono uscire di casa. Gli scaffali dei negozi ancora aperti si svuotano rapidamente dei generi di prima necessità. Questo si prospetta fin d'ora come il più triste Natale che la storia britannica ricordi, ancora più triste dei Natali passati in tempi di guerra.

Nessun superstite è lì a raccontare come, per esempio, nel corso del Natale del 1914 circa centomila soldati britannici e tedeschi furono coinvolti da entrambe le parti in ripetute tregue spontanee mentre si fronteggiavano nelle Fiandre. Narrano le cronache del tempo che «i tedeschi presero a mettere candele sul bordo delle loro trincee e su alcuni alberi nelle vicinanze, iniziando poi a cantare alcune tipiche canzoni natalizie; dall'altro lato del fronte, i britannici risposero iniziando anche loro a cantare e poi soldati dell'uno e dell'altro schieramento presero ad attraversare la terra di nessuno per scambiare con la controparte piccoli doni, come cibo,tabacco, alcolici e souvenir quali bottoni delle divise e berretti».

Ma oggi non è così. Il virus non concede tregue e atterrisce. Cresce sempre più il numero dei Paesi che stanno interrompendo i collegamenti aerei da e per il Regno Unito. Prima dello stop ai voli, l'aeroporto londinese di Heathrow è precipitato nel caos, mentre centinaia di passeggeri si affrettavano sugli ultimi aerei prima che fosse imposto il divieto di viaggio verso le nazioni di tutta Europa.

Arrivano da Londra immagini di strade spettrali, mai viste in questo periodo dell'anno. Luminarie e insegne natalizie rimangono accese ma contrastano con il senso di vuoto che di sera regna nella capitale britannica. I Babbi Natale sono in ritirata e si spengono i «Christmas Carols», i canti di Natale originari della tradizione orale inglese fin dal tardo Medioevo. Chi l'avrebbe detto nel Paese che coniò il termine «splendid isolation» per denotare un periodo, nella seconda metà del XIX secolo, durante il quale la politica estera della Gran Bretagna venne improntata ad evitare qualunque coinvolgimento nei conflitti europei per dedicarsi allo sviluppo coloniale e commerciale dell'allora Impero.

Al contrario, il Regno Unito di oggi assume tutto il realismo dei romanzi di Charles Dickens, mentre riecheggiano i versi di una meditazione del poeta inglese del Seicento John Donne: «Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente; se anche una sola zolla viene portata via dall'onda del mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, o una magione amica o la tua stessa casa; ogni morte di un uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell'umanità; e così non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te».

Insomma, c'è poco di «splendid» nell'attuale isolamento inglese. E molta, molta tristezza.

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