L'ONU tra tribuna e megafono

di GERARDO MORINA - Nel suo rapporto annuale del 1984 l?allora Segretario generale Javier Perez De Cuellar difese il ruolo delle Nazioni Unite facendo notare che uno dei principali meriti dell?Organizzazione è di «essere tribuna e di dare udienza a tutte le nazioni, comprese le più deboli, oppresse o vittime di ingiustizie».Ma da sempre ci si domanda se i regolamenti e la prassi in vigore alle Nazioni Unite siano i più adatti a favorire soluzioni concrete o semplicemente non trasformino il Palazzo di vetro in un megafono temporaneo per le cause particolari di singoli Paesi. È una domanda che rimane attuale sia di fronte alla battaglia in corso all?ONU per il riconoscimento di uno Stato palestinese, sia in seguito all?uso personale che ieri ne ha fatto il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Invece di dimenticare per una volta il clima d?odio che suscitano i suoi discorsi e soffermarsi sull?urgenza di un accordo per la creazione di uno Stato palestinese, Ahmadinejad si è scagliato su temi triti e ritriti intrisi di retorica .Ha elencato le «colpe» degli Stati Uniti, rievocando la vicenda degli schiavi trasportati dall?Africa, l?imposizione del sionismo in Medio Oriente nel Novecento e addossando sempre a Washington l?origine della recessione mondiale. Il presidente iraniano ha inoltre accusato «potenze arroganti» di usare «la loro rete imperialista» per minacciare chiunque metta in discussione l?Olocausto e gli eventi dell?11 settembre 2001 con sanzioni e azioni militari.L?intervento di Ahmadinejad all?Assemblea Generale dell?ONU non ha avuto nulla di lungimirante e altruistico. La liberazione mercoledì scorso dei due turisti americani arrestati due anni fa al confine con l?Iraq aveva fatto sperare in una nuova possibilità di dialogo tra Teheran e Washington. Il discorso del leader iraniano ha invece denotato tutt?altro, mostrandosi dettato da due fattori: il tentativo di riscatto da un accerchiamento politico che, a detta di molti osservatori, Ahmadinejad sta subendo in patria, e il profondo disagio avvertito dall?Iran di fronte alle primavere arabe.Del clima politico interno iraniano è stato uno specchio la stessa vicenda dei turisti americani liberati. Quando il presidente, nei giorni scorsi, si era lanciato ad annunciare la notizia, era stato clamorosamente smentito dai magistrati che tenevano i due americani in custodia. Quella discrepanza era stata interpretata come un segno del braccio di ferro in corso tra Ahmadinejad e il leader religioso Khamenei. Si è poi capito che si è trattato di un?umiliazione pubblica giunta al termine di otto mesi di spoliazione progressiva dei poteri politici del presidente, garantiti da un blocco solido che un tempo lo appoggiava.Le istituzioni lo starebbero dunque abbandonando: non solo Khamenei, ma i comandanti delle Guardie Islamiche Rivoluzionarie, il ministro dell?intelligence e le figure religiose più importanti. Quei pochi che sono rimasti con lui vengono chiamati la «fazione deviante» perché hanno osato sfidare l?autorità e la legittimità del potere religioso. Inoltre il fronte dei pasdaran si è spaccato in vista delle legislative del 2012, mentre il consuocero e amico storico Esfandiar Rahim Mashaei, il più fidato tra i consiglieri del presidente, rivela caratteristiche che turbano molto la nomenclatura clericale. L?attuale paradosso iraniano è così che a sfiduciare Ahmadnejad non sono tanto i gruppi di dimostranti che compaiono nelle piazze di Teheran quanto le élite di governo. Ciò dimostra che se Ahmadinejad si può trovare sul viale del tramonto, il regime iraniano dà invece ogni segno di prosperare nella sua ortodossia.Se all?interno sono gli ayatollah della repubblica islamica a detenere l?ultima parola su tutte le decisioni politiche, all?esterno Teheran teme di perdere infuenza nella regione a favore del modello secolare turco, vede l?alleato siriano vacillare e comincia a sentirsi assediata. Al punto che le recenti rivolte avvenute nel mondo arabo, in Iran vengono inquadrate in un processo di «risveglio islamico» visto come simile alla rivoluzione khomeinista del 1979 e senza ben identificare la natura dell?esigenza di libertà fatta avvertire da Paesi come Tunisia ed Egitto ma anche come Libia e Siria.Il risultato è che l?incertezza di Teheran viene tutta proiettata fuori dai suoi confini, mantenendo vivi, anche all?ONU, i fantasmi lontani che ne derivano.