Il commento

L'UE senza radici e strategia

Un rapporto sulla competitività dell’Unione europea è stato commissionato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, a Mario Dragh
Robi Ronza
Robi Ronza
23.04.2024 06:00

Un rapporto sulla competitività dell’Unione europea è stato commissionato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, a Mario Draghi. Il rapporto verrà pubblicato dopo le votazioni per il rinnovo dell’Europarlamento, che avranno luogo tra il 6 e il 9 giugno prossimi, ma Draghi lo scorso 16 aprile ne ha anticipato in sintesi il contenuto in un discorso tenuto a Bruxelles: un discorso di respiro «presidenziale» in cui si affrontano problemi di grande prospettiva, e che è stato interpretato da molti come un’autocandidatura alla successione a von der Leyen, che mira a succedere a se stessa ma non gode di totale consenso nemmeno all’interno del Partito popolare europeo dal quale viene ufficialmente candidata.

Draghi ha esordito osservando che il problema della competitività, che è giusto, è stato però a lungo affrontato nell’Unione europea in modo sbagliato: «Ci siamo rivolti verso l’interno (…), anche nei settori della difesa e dell’energia dove abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non ci siamo abbastanza rivolti verso l’esterno (…), non abbiamo considerato la nostra competitività esterna come una seria questione politica».

«In un ambiente internazionale benigno, abbiamo confidato nel campo da gioco globale e nell’ordine internazionale basato sulle regole, aspettandoci che gli altri facessero altrettanto. Ma ora il mondo sta cambiando rapidamente, e ci ha colto di sorpresa». Ci sono grandi Paesi che «non stanno più giocando secondo le regole (…). La Cina, ad esempio, mira a catturare e internalizzare tutte le parti della catena di approvvigionamento nelle tecnologie verdi e avanzate e si sta garantendo l’accesso alle risorse necessarie (…). Gli Stati Uniti, dal canto loro, stanno utilizzando politiche industriali su larga scala per attirare capacità manifatturiere domestiche ad alto valore aggiunto all’interno dei propri confini – incluso quello delle aziende europee – mentre utilizzano il protezionismo per escludere i concorrenti e utilizzano il proprio potere geopolitico per riorientare e garantire le catene di approvvigionamento».

L’Unione europea invece continua ad essere priva di un suo «Patto industriale». «Ci manca - ha continuato Draghi - una strategia su come tenere il passo in una crescente corsa all’innovazione (…). Oggi - rispetto agli Stati Uniti e alla Cina - investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate, compresa la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 al mondo. Ci manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali in un campo da gioco globale non uniforme causato da asimmetrie nelle regolamentazioni, nei sussidi e nelle politiche commerciali. (…)». “Abbiamo giustamente un ambizioso programma politico sul clima in Europa e obiettivi rigorosi per i veicoli elettrici. Ma in un mondo in cui i nostri rivali controllano molte delle risorse di cui abbiamo bisogno, un tale programma deve essere combinato con un piano per garantire la nostra catena di approvvigionamento: dai minerali critici alle batterie, all’infrastruttura di ricarica».

Concludendo Draghi afferma che «ripristinare la nostra competitività non è qualcosa che possiamo ottenere da soli, o battendoci l’un l’altro. Richiede che agiamo come Unione europea come non abbiamo mai fatto prima. I nostri rivali ci stanno anticipando perché possono agire come un unico paese con una sola strategia (…)». 

Il discorso è ineccepibile, ma lascia in ombra la grande questione preliminare ovvero il fatto che, a settantatre anni dalla fondazione nel 1951 della Comunità del carbone e dell’acciaio, inizio del processo di unificazione europea, i cittadini degli Stati membri non si sentono cittadini dell’Unione e quindi faticano a pensare e a volere, tra altro, quel «Patto industriale» che Draghi giustamente auspica. La ragione è semplice, anche se di rado affermata. L’Unione è nata e finora ha continuato a svilupparsi in forza di trattati tra i Governi degli Stati membri, senza coinvolgere direttamente i popoli. È insomma cresciuta sin qui senza radici: perciò non suscita nella gente sentimenti di appartenenza e quindi nemmeno disponibilità a grandi progetti comuni.