Pensieri dal battellino

Lui c'è e noi pure

Una settimana fa, al congresso elettorale, il presidente del Centro Fiorenzo Dadò ha detto che il suo partito vuole essere il luogo della mediazione e della concordanza fra gli estremi
Bruno Costantini
04.02.2023 06:00

Queste giornate temperate, con il lago leggermente increspato dal venticello, hanno reso piacevoli le traversate con il battellino. Ci siamo goduti la Candelora nella bella luce serale durante il rientro al porto comunale; ieri ci siamo invece seduti su un pontile di Caprino a mangiare il panettone di San Biagio avanzato a Natale che protegge dal mal di gola. Di questi tempi ce n’è bisogno, la stessa Asia ha dovuto rinunciare alle sue lezioni di pilates e agli aperitivi del suo giro radical-chic perché son quasi tutti a casa con la febbre (e sai che lagne i radical-chic influenzati). A prendersi una fetta di panettone curativo, insieme al Barbera fatto col mulo che aveva ordinato, ci ha raggiunti sul pontile un conoscente di specchiata rettitudine, popolare-democratico di vecchia data, un già conservatore probabilmente guardista che è rimasto sempre fermo sui suoi principi politici e di fede. Già che c’era gli abbiamo chiesto cosa pensasse del fatto che ora il PPD si chiama Centro, se questo lo proiettasse in una nuova modernità, se non facesse più figo secolare sentirsi un «centrino», come ha voluto puntualizzare la mia amica microinfluencer del lago. «Ma disén pü da bagianaat, un uregiatt al rescta sempru un uregiatt», ci ha risposto con fierezza, anche se il significato esatto resta un po’ ambiguo a conferma forse dell’essere «uregiatt» che, conviene ricordarlo, non è, come approccio politico, un’esclusiva del già PPD. Una settimana fa, al congresso elettorale, il presidente del Centro Fiorenzo Dadò ha detto che il suo partito vuole essere il luogo della mediazione e della concordanza fra gli estremi per trovare soluzioni concrete a favore del bene comune (ci mancherebbe: chi mai proclamerebbe di essere per il male comune o anche solo individuale? È un po’ come dire che tutti siamo per la pace in Ucraina). In un Paese fondato sulla concordanza e sul turboconsociativismo non si può dar torto a Dadò, è la linea che il partito ha sempre cercato di seguire, con un rischio: quello di ritrovarsi ad essere dei semplici «centrini» su tavole apparecchiate da altri. La mediazione può essere un tratto identitario nel mercato politico, come in un’altra epoca lo fu il referente cristiano ormai sepolto? Che tale riferimento fosse smarrito nella pratica quotidiana s’era capito anche quattro anni fa con il cinico e poco cristiano beltraminellicidio ordito in casa approfittando della vicenda Argo 1 poi sgonfiatasi. È la legge della politica: dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io. Il nuovo eletto in Governo Raffaele De Rosa aveva fatto campagna con lo slogan perentorio: «C’è da fare». Adesso che si ripresenta dovrebbe di conseguenza coniare uno slogan su quel che ha realizzato («Ho fatto qui, ho fatto là, ho fatto su, ho fatto giù»), ma la legislatura della pandemia ha certo condizionato molte cose. Il direttore del DSS, con la bonomia ma anche la furbizia di un parroco di campagna, si presenta invece con il motto: «Io ci sono». Asia tiene a far sapere che anche lei c’è, e mi aggiungo pure io: presente (ma a che ora si mangia?). Però è proprio uno scherzo da prete. «Io ci sono» è lo slogan utilizzato otto anni fa per la candidatura al Governo da Giorgio Fonio, adesso nuovamente in lista assieme a De Rosa. Ha proprio ragione il nostro conoscente di Caprino: «un uregiatt al rescta sempru un uregiatt» anche se oggi è un «centrino».