L’ultimo treno per i caccia militari

Attorno alla metà degli anni Settanta, in piena Guerra fredda, l’esercito disponeva di oltre 440 jet, fra Mirage, Hunter, Vampire e Venom (fonte: Tages -Anzeiger). Nel 1986 il totale era sceso a poco meno di 400, nonostante la messa in servizio, dal 1978, di più di cento Tiger F-5. Nel 1990 il numero dei velivoli era diminuito di altre cento unità. A metà degli anni Novanta, eliminati gli Hunter, la flotta risultava composta da circa 170 aerei, in prevalenza Mirage e Tiger. Con l’introduzione degli F/A-18 Hornet dal 1997 (nel 1993 il popolo aveva respinto l’iniziativa per impedirne l’acquisto), i Mirage sono stati man mano abbandonati e il numero dei Tiger è stato progressivamente ridotto. Nel 2006 si contavano in totale 87 velivoli da combattimento. Attualmente la flotta è composta da 56 aerei, 26 Tiger e 30 F/A-18. Questi ultimi potranno operare fino al 2030, mentre i primi continueranno a essere impiegati per sgravare gli Hornet dai compiti secondari. Se il 27 settembre sarà confermata la decisione di principio di spendere 6 miliardi di franchi per il rinnovo della flotta, dal 2030 l’esercito disporrà di 30-40 nuovi caccia (il numero preciso dipenderà dal tipo di velivolo che sarà scelto fra i quattro in esame). Questa premessa è utile per inquadrare il contesto in cui cade la decisione: la protezione aerea in questo momento è garantita da un numero contenuto di velivoli, in parte inservibili in un’ipotetica situazione di ingaggio reale, in parte ancora efficienti ma prossimi alla pensione. Negli ultimi quarant’anni l’aviazione ha seguito un processo simultaneo di ridimensionamento e ammodernamento, in linea con la situazione strategica. Ma adesso siamo all’ultimo giro. O si rinnova la flotta o la prospettiva è di non più disporre di una difesa aerea dal 2030. Un’eventuale ulteriore proroga di qualche anno dell’operatività degli F/A-18, combinata con l’acquisto di aerei leggeri meno cari per la polizia dei cieli, come propone una parte dei referendisti, è un’idea suggestiva ma che non regge, per l’inadeguatezza dei mezzi. Inoltre, si limita a spostare nel tempo il problema senza garantire soluzioni durevoli sul futuro delle forze aeree. La Svizzera non è l’unico Paese a essere confrontato con questo problema. Anche la Finlandia ha rinunciato ad un costoso investimento per ammodernare i suoi F/A-18. E con una tempistica e un parco concorrenti simili a quelli elvetici punta a dotarsi di un jet multiruolo entro il 2030.
Quella del 27 settembre è l’ultima chance per un rinnovo credibile dell’aviazione militare. La sicurezza ha un costo ma i costi sono sostenibili nel quadro dell’attuale bilancio dell’esercito. La sostituzione della flotta risponde ad almeno tre esigenze. Innanzitutto quella di mantenere le capacità di risposta dell’intero sistema di sicurezza, in un contesto internazionale viepiù incerto e contrassegnato da una tendenza al riarmo. Concentrarsi solo sulle minacce più realistiche nel breve termine sarebbe miope. In conto bisogna mettere gli scenari che si possono presentare, in modo del tutto inaspettato in un orizzonte di almeno trent’anni. Tensioni e rivolgimenti a livello internazionale possono avere conseguenze imprevedibili. Quello che è successo quest’anno dimostra che bisogna sempre fare i conti con l’imponderabile. In gennaio nessuno pensava che nel giro di due mesi il Consiglio federale avrebbe dovuto chiudere il Paese per due mesi e decretare la più imponente mobilitazione dalla Seconda guerra mondiale per fronteggiare una pandemia. Non ci sono solo pace o guerra. Instabilità e tensioni alle porte dell’Europa possono coinvolgere suo malgrado anche la Svizzera in situazioni di crisi al di sotto della soglia bellica, che chiamano in causa la tutela della sovranità dell’aria.
Secondo: l’esercito è uno strumento della politica di sicurezza. Senza un’aviazione in grado di fornire un supporto alle formazioni di terra, non sarebbe più in grado di svolgere il suo compito e perderebbe ogni credibilità. Il paragone è abusato ma rende sempre l’idea: un esercito ben armato al suolo ma scoperto nei cieli è come una casa senza un tetto. Basta poco a renderla inservibile. In terzo luogo, non avere più un’aviazione significherebbe, di fatto, delegare ad altri Paesi o alleanze il compito di provvedere alla protezione aerea. La Svizzera ha i mezzi per difendere militarmente la propria sovranità e per continuare a fare degnamente la sua parte, pur come Paese neutrale, per la sicurezza in Europa. Per chi punta all’abolizione dell’esercito, gli aerei rappresentano da trent’anni il bersaglio grosso. Sa che via questo, il resto seguirà. Un no il 27 settembre sarebbe fatale per la difesa, un sì invece sarebbe un’occasione per consolidarla e per garantire la continuità di un sistema di sicurezza che deve essere pronto a fronteggiare tutti i pericoli.