Ma che cos’è il genio?

Che cos’è il genio? Chi scrive appartiene alla generazione dei (furono) ragazzi che si godevano in tv il cartone animato del professor Balthazar, una serie ideata dal croato Zlatko Grgić. La trama-base di ogni episodio era sempre la stessa: c’era un problema qualsiasi, generalmente assurdo (come quando in paese cominciarono a piovere cappelli), e allora arrivava lui, il piccolo, calvo e barbuto professore con la bombetta, che, gentilissimo e sorridente, in un batter d’occhio inventava qualcosa di surreale e risolutivo. Nel caso dei cappelli, li aveva spediti via nave in Australia dove erano poi stati indossati con gioia dai canguri. Il pezzo forte, però, era quando si vedeva lui in laboratorio, un labirinto di alambicchi, imbuti, ingranaggi da cui distillava ritrovati che finivano la loro corsa in una provetta multicolor. Ne bastava una goccia per risolvere la magagna di turno.
Abbiamo pensato al professor Bathazar quando, di recente, ci è capitato di sfogliare un meraviglioso volume del 1588 conservato alla Biblioteca dei Frati di Lugano: “Le diverse et artificiose machine del Capitano Agostino Ramelli dal Ponte Della Tresia” (ne parliamo nel CorrierePiù di oggi), una rassegna riccamente illustrata di pompe idrauliche, macchine per il prosciugamento di stagni, mulini, ponti, congegni bellici, gru e fontane più altre stravaganze.
Un libro affascinante scritto da un genio che diceva di esser nato a Ponte Tresa, ma forse non era vero, ed ebbe un’immensa fortuna editoriale per secoli: una bibbia di idee e progetti che hanno influenzato la scienza meccanica dei secoli a venire. Curioso che proprio nelle terre che hanno generato il Ramelli pochi ne ricordino la figura. E pensare che nei tempi passati l’avevano paragonato ad Archimede e a Leonardo da Vinci.
La cosa più curiosa del suo capolavoro, quella che ce lo fa accostare al professor Bathazar, è che alcune delle sue invenzioni erano del tutto inutili. A chi poteva servire, per esempio, un albero di ferro, con uccellini di metallo che, attraverso un sofisticatissimo gioco di tubi, d’acqua e d’aria, cinguettavano sopra una fontana? Era, probabilmente, un costosissimo giocattolo per signori rinascimentali, ma non ci è dato di sapere se qualcuno l’abbia mai fatto realizzare. Probabilmente, oggi, verrebbe premiato con l'igNobel, il riconoscimento assegnato annualmente a dieci ricercatori autori di ricerche «strane, divertenti, e perfino assurde», lavori improbabili che «prima fanno ridere e poi danno da pensare».
Che cos’è, quindi, il genio? Vai a saperlo. A partire dal Ramelli - ma potremmo metterci anche altri pezzi da novanta assai più noti - osiamo sostenere che non coincide necessariamente con l’intelligenza, anche se la presuppone. Molte cose geniali sono poco intelligenti. Fate un salto sul sito dell’igNobel per rendervene conto. Oppure pensate alle biografie dei geni per accorgervi di come le loro straordinarie capacità spesso non sono bastate a farli vivere bene. Un libro dell’anno scorso, Off the charts, The Hidden Lives and lessons of american child prodigies e dedicato a 15 bambini prodigio del Novecento, da Shirley Temple a Bobby Fisher, spiega che essere un passo avanti agli altri può rovinarti l’esistenza. E a cosa serve l’intelligenza se non a renderti la vita più bella?
Perché l’intelligenza, etimologicamente parlando, è la capacità di leggere tra le cose (inter legere), di vedere con la propria mente ciò che non si vede coi soli sensi. Una facoltà che ti permette di soppesare vantaggi e svantaggi per trarre il maggior utile in tutte le situazioni (nel bene e nel male). Il genio, invece, è illuminazione, intuizione, assenza di calcolo. Potremmo definirlo come la capacità di leggere oltre le cose, al di là di esse, indipendentemente dallo scopo e dal risultato finale. Qualcosa di innato e misterioso. «Quiddam divinum» come diceva Cicerone parlando del genio di Socrate. Molti pensatori hanno provato a definirlo senza venirne a capo.
Ma è certo che esiste. E svela un’evidenza in teoria alla portata di tutti, anche se alla fine solo una persona riesce a coglierla, non si sa come, non si sa perché. Come gli uccellini di ferro del Ramelli, magnificamente inutili.