Ma la Corona britannica non paga per gli schiavi

Laura Trevelyan è una brava collega della BBC. E in questi giorni ha dimostrato anche di essere una donna generosa. Nell’Ottocento i suoi aristocratici antenati fecero una montagna di soldi grazie alle piantagioni di zucchero coltivate dagli schiavi nell’isola caraibica di Grenada. Oggi Ms Trevelyan si è pubblicamente scusata per le loro azioni, e per rendere più credibile il suo rammarico ha donato 100 mila sterline per lanciare un fondo di comunità destinato allo sviluppo economico dell’isola.
Il bel gesto di Laura non ha meritato solo lodi. La romanziera irlandese Katherine Mezzacappa ha fatto presente che un altro antenato, sir Charles Trevelyan – che fu un amministratore coloniale dell’ «isola verde» in epoca vittoriana- è ancora oggi odiato in Irlanda per il modo in cui trattò l’orrenda carestia del decennio 1840. Un milione di irlandesi morirono di fame, e il commento di sir Charles fu che si trattava di «una punizione di Dio per gli isolani pigri e ingrati».
Domanda: per espiare le colpe di sir Charles, dovrebbe la discendente Laura Trevelyan offrire una riparazione economica anche all’Irlanda? Ma se lo fa, è molto probabile che un sacco di gente in giro per il mondo potrebbe passare al setaccio l’albero genealogico dei Trevelyan nella speranza, non infondata, di provare che anche il loro paese è stato a un certo punto saccheggiato o infondato da uno degli avi.
Non solo della Gran Bretagna, è ovviamente segnato da un numero incalcolabile di delitti. E l’idea di offrire riparazioni ai discendenti delle vittime è figlia della cultura woke («risveglio») che, originata nelle comunità nere degli Stati Uniti, si è presto allargata all’intera intellighentsia americana per sbarcare infine in Gran Bretagna. E qui, come si sa, ha trovato una portabandiera d’eccezione nella duchessa di Sussex, ex attrice afro-americana che ha accusato di razzismo perfino la famiglia reale.
Indubbiamente dal commercio di schiavi la Corona britannica si è enormemente arricchita. Ma appare altamente improbabile che re Carlo sborsi un penny ai discendenti. Non è questione di tircheria o durezza di cuore. Il fatto è che la moda woke parte da un presupposto sbagliato, ovvero che la gente di oggi debba essere ritenuta responsabile dei crimini del passato. Ma se questo criterio fosse valido, non ci sarebbero innocenti sulla faccia della terra. Perché punire per schiavismo solo gli inglesi contemporanei, e non anche gli italiani discendenti di quegli spietati imperialisti e schiavisti che furono i romani? E che dire della schiavitù a Babilonia, in Persia o in India? O in Marocco e nella Turchia ottomana?
Sui torti del suo paese nella secolare relazione con l’Africa, re Carlo ha già fatto pubblica ammenda a nome della Corona che rappresenta. Ma questo dovrebbe servire ad aprire un nuovo capitolo di questo rapporto, più giusto e più equo, non a istruire un impossibile processo al passato. Anche perché la schiavitù esiste ancora nel mondo, e sembra più sensato occuparsi della liberazione degli schiavi vivi che delle riparazioni a quelli morti. Sembra significativo, del resto, che anche le accuse di razzismo lanciate dai Sussex ai famigliari siano totalmente scomparse di scena. I pettegolezzi dalla California segnalano peraltro che pure i vicini, e presunti amici, dell’Eldorado miliardario in cui si sono «rifugiati» Harry e Meghan hanno preso le distanze dalla coppia. A cominciare dalla mitica Oprah Winfrey, nonostante che la famosa intervista anti-Windsor del duo ribelle avesse aggiunto svariati milioncini alla sua montagna di dollari : non sufficienti a garantire ai duchi un invito alla sua regale festa di compleanno. Sembra insomma che la campagna anti-monarchica in cui si sono imbarcati il principe e la consorte gli abbia alienato le simpatie della coterie di celebrità di cui si erano illusi di far parte, dimentichi che la ragione principale del loro fascino stava nella parentela reale. Harry e Meghan stanno forse scoprendo quanto a Hollywood anche l’amicizia sia «polvere di stelle». Amici, poi…
Al matrimonio, nel maggio del 2018, la cappella di St. George’s a Windsor era inzeppata di star americane. Un aristocratico invitato si trovò accanto a George Clooney e alla moglie Amal, e incuriosito chiese al mitico George come avessero conosciuto i felici sposi. Risposta: «Non li conosciamo».