Ma quante cose dice il 3. segreto

di CARLO SILINI - A costo di sembrare irriverenti, pensiamo che sia utile raccontare una storia del terzo segreto di Fatima che con ogni probabilità non verrà mai confermata da nessuna autorità vaticana. È una storia che non si basa su dichiarazioni ufficiali o su inchieste nebbiose tra gli archivi della Santa Sede, come piacerebbe ai fan di Dan Brown, ma semplicemente sulla lettura del messaggio stesso di Fatima e sugli apparentemente inspiegabili cambiamenti di interpretazione da parte del Vaticano. Potremmo chiamarla un?interpretazione indiziaria, con tutti i limiti che questo comporta. Ecco, quindi, la storia.Il terzo segreto di Fatima è la terza parte del messaggio che la Madonna avrebbe rivelato ai tre pastorelli a cui era apparsa nella località portoghese nel 1917. Il messaggio racconta, tra le altre cose, di un vescovo vestito di bianco che, salendo una ripida montagna sormontata da una croce, veniva ucciso da un gruppo di soldati. Prima che fosse rivelato urbi et orbi nel Duemila, per volontà di Giovanni Paolo II, il segreto era ritenuto un tabù apocalittico, un mistero troppo terribile per essere divulgato, la chiave nascosta per comprendere i destini dell?umanità. E solo il Papa aveva il diritto di maneggiarla. Probabilmente, leggendolo e rileggendolo, i pontefici che si sono ritrovati tra le mani quel testo devono aver fatto un pensiero pastoralmente intelligente: non parliamone proprio, la rivelazione cristiana è già finita ed è contenuta per intero nel Nuovo Testamento. Segreto era e segreto rimarrà, tanto, saperlo o no, per il popolo cristiano non cambia nulla. Poi, però, mentre trascorrevano i decenni, si è creata una vera e propria caccia al tesoro attorno alle misteriose parole della Vergine e hanno cominciato a circolare versioni selvagge e clandestine di quel testo, poi rivelatesi tutte false. I terzi segreti di Fatima in circolazione cominciavano ad essere un po? troppi. E soprattutto cominciavano ad essere presi un po? troppo sul serio. Prima del 2000 se ne trovavano in rete d?ogni tipo e natura. Ne ricordo uno secondo il quale la Terra sarebbe stata invasa dagli extraterrestri. Insomma, la strategia del silenzio non era pagante, generava mostri.Così, papa Wojtyla, che era il principe dei grandi gesti, deve aver pensato che rivelando il terzo segreto durante il Giubileo avrebbe colto due piccioni con una fava: fermare l?emorragia di falsi messaggi e di interpretazioni distanti anni luce (è il caso di dirlo) dal messaggio evangelico, e, nello stesso tempo, impedire ulteriori future speculazioni sul testo, indicando una spiegazione «chiusa», ferma cioè su un evento del passato, l?attentato contro la sua persona da parte di Alì Agca il 12 maggio 1982. Nessuno, da lì in avanti avrebbe potuto utilizzare quelle parole come profezie di altri fatti, come se si fosse trattato delle terzine di Nostradamus alle quali si fa dire tutto e il contrario di tutto. Nessuno tranne un nuovo Papa.E infatti, nel suo viaggio di questi giorni in Portogallo, Benedetto XVI ha riaperto le interpretazioni ufficiali del messaggio di Fatima, cumulando all?immagine dell?attentato del 1982 a Wojtyla, le sofferenze della Chiesa attraversata dalla piaga della pedofilia del clero. Che cosa è successo? Perché, dopo avere identificato il segreto con un fatto conclusosi nel 1982, Ratzinger ha voluto riaprire la partita delle interpretazioni arrivando a dire che la profezia di Fatima non è conclusa? Si noti, per inciso, che l?ha detto in totale disaccordo con quanto aveva scritto nel commento teologico del 2000: «Dobbiamo affermare, col cardinale Sodano: ?...le vicende a cui fa riferimento la terza parte del segreto di Fatima sembrano ormai appartenere al passato?».Nessuno, tranne lui, potrebbe rispondere. Ma a noi pare ragionevole pensare che Joseph Ratzinger era ed è troppo teologo per sottoscrivere, ora che è diventato Papa, la «comoda» spiegazione wojtyliana del segreto. Già nel commento del 2000, infatti, l?allora cardinal Ratzinger spiegava che le rivelazioni di Fatima erano «private» e quindi non richiedevano quell?assenso di fede da parte dei credenti che spetta alla rivelazione pubblica (contenuta, e finita, nel Nuovo Testamento). Aggiungeva che le visioni dei veggenti non erano da intendere come visioni sensibili di fatti avvenuti nella realtà tangibile, fotografie dell?aldilà o dell?aldiquà, né visioni intellettuali, ma «percezioni interiori». Non fantasie di bambini, precisava, ma percezioni pur sempre limitate dal fattore soggettivo. Insomma, Ratzinger indicava tutti i limiti di questo tipo di rivelazioni, importanti per la pietà popolare, ma non indispensabili per la fede. Il senso di questo tipo di profezia, aggiungeva, non era di predire il futuro «ma spiegare la volontà di Dio per il presente e quindi mostrare la retta via verso il futuro». Indicare, quindi, in un fatto «finito» il senso di una profezia significa bloccarne la forza, impedirle di avere un significato per il tempo presente. D?ora in avanti, quindi, Fatima non indicherà più solo un fatto sepolto nel passato, ma tutti quelli che in un qualche modo ricorderanno i momenti di sofferenza della Chiesa di ogni tempo. Non si tratta, perciò, di cercare corrispondenze infallibili tra le descrizioni oniriche e sfumate dei veggenti e fatti storici precisi e chiaramente identificabili. Si tratta di restituire a questo genere di rivelazioni il loro statuto di immagini sfuggenti e simboliche, aperte ad abbinamenti con la realtà presente, ma non necessarie per sorreggere la fede di chi crede. Le rivelazioni che contano, dal punto di vista teologico, risalgono a duemila anni prima. E non c?è messaggio mariano, visione, veggente o santuario che possa sostituirle o aggiungere qualcosa alle Scritture.