L’editoriale

Magie ed eccessi su un’aria di tango

Maradona, una carriera e una vita tra classe ed esagerazioni - Il commento di Flavio Viglezio
Diego Maradona se n’è andato: aveva 60 anni. ©EPA/VASSIL DONEV
Flavio Viglezio
26.11.2020 06:00

Immagini sbiadite di un’emittente televisiva argentina. C’è un bambino che palleggia, sembra che potrebbe andare avanti all’infinito. Il ragazzino alza la testa: «Ho due sogni nella vita: giocare il Mondiale con l’Argentina e vincerlo». Li ha esauditi entrambi, Diego Armando Maradona. Ma come in una sorta di maledizione, quelle che spesso toccano i più grandi, ha pagato un prezzo altissimo per diventare una leggenda. Un Dio in terra, per molti. Ma quanto deve essere stato difficile e interiormente sfiancante essere considerato immortale e onnipotente, per un ragazzo nato e cresciuto a Villa Fiorito, uno dei sobborghi più poveri di Buenos Aires. Luci e tenebre hanno insomma accompagnato tutta l’immensa carriera del Pibe de oro. Oggi non ha senso chiedersi se sia stato il più grande di tutti, soffermarsi sulla rivalità a distanza con Pelé o su quella con Leo Messi, ritenuto da taluni il suo erede.

No, questo è solo e soltanto il giorno delle lacrime di un mondo del calcio che dopo averlo idolatrato, lo ha affossato senza pietà. Le lacrime più vere sono allora quelle della gente comune, di chi l’ha visto – con i capelli ricci e lunghi e lo sguardo di chi sapeva di essere il più forte – dispensare giocate di classe sopraffina sui campi di tutto il mondo. E oggi che Diego non c’è più, per gli argentini contare fino a dieci non sarà più lo stesso. Già, perché «10» in Plaza de Mayo si dice «Diego». In omaggio al numero che ha sempre portato. Ovunque. Il numero dei campioni, dei fantasisti, dei geni del pallone. È stata una storia tanto incredibile quanto appassionante, quella di Diego. L’hanno già raccontata maestri del cinema come Emir Kusturica. Una storia sempre velata però da quel filo di malinconia così tipicamente argentino, come se Diego avesse vissuto in una di quelle milonghe di Buenos Aires in cui si balla il tango, con il suo pensiero di fondo pregno di tristezza. Luci e ombre. Ombre e luci.

L’immaginario collettivo ricorda spesso Maradona per i suoi eccessi: le amicizie poco raccomandabili, la droga, l’alcol, le donne. E un post carriera pieno di cadute di stile, di polemiche alternate a ricoveri in urgenza per cercare di salvare un corpo ormai martoriato. È stato criticato, schernito, infangato. E tra quelli che hanno provocato la sua caduta c’è anche chi ha approfittato come una sanguisuga del Pibe. Che non ha semplicemente mai avuto le armi socio-culturali per ribellarsi, per uscire da quel vortice di esagerazioni che – di fatto – oggi se l’è portato via. No, non deve essere stato facile passare dal bambino di Villa Fiorito al campione capace di emozionare ed esaltare il mondo intero. Come tutti gli artisti – Andy Warhol del pallone – Diego lascia un indelebile ricordo che mescola costantemente genio e sregolatezza. Le follie degli artisti vengono spesso perdonate, se non addirittura lodate. Quelle di Maradona no. Quando ha smesso di incantare le platee mondiali, con quel magico piede sinistro, Maradona si è ritrovato solo. A stargli vicino – perlomeno nei primi tempi – sono state la storica compagna Claudia Villafane, dalla quale aveva divorziato già nel 2004, e le adorate figlie Giannina e Dalma. Ma anche con loro negli ultimi tempi i rapporti si erano incrinati, quasi che Diego non potesse più stare lontano dalla sofferenza.

Ma Maradona è stato l’essenza del calcio ed ora che non c’è più merita di essere ricordato per il suo talento senza pari. Quante immagini passano davanti agli occhi, quanti ricordi indelebili. Troppi, per essere elencati tutti. Anche se i suoi ex compagni del Napoli affermavano e ancora sostengono che per ammirare la classe infinita del «diez» bisognava – almeno una volta nella vita – aver assistito ad un suo allenamento. È impossibile raccontare in poche righe cosa è stato in campo Diego Armando Maradona: si tratterebbe di una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Nessuna delle sue magie merita di essere declassata, di finire nel dimenticatoio di un calcio quasi giornalmente obbligato a creare eroi e idoli che a Maradona – calcisticamente – nemmeno arrivano alla caviglia.

In fondo sono proprio i Mondiali che tanto amava a fotografare bene carriera e vita di Maradona. Il trionfo in Messico nel 1986, dove vinse praticamente da solo un torneo macchiato dalla «mano de Dios», quel gol irregolare all’Inghilterra con troppi risvolti politici legati alla guerra delle Falklands/Malvine. Gli insulti al pubblico dell’Olimpico di Roma prima della finale di Italia ‘90 e poi la caduta definitiva ad USA ‘94: la squalifica per doping dopo l’urlo in mondovisione per il gol contro la Grecia. Luci e ombre. Ombre e luci. Fino alla fine. «Ho due sogni nella vita: giocare il Mondiale con l’Argentina e vincerlo». Ora puoi riposare in pace, immenso Diego.

In questo articolo: