Mali dell'UDC e ostracismo degli altri

di MORENO BERNASCONI - Il dibattito urgente delle Camere sulla Banca nazionale voluto dall?UDC si è rivelato un flop. Anche se è riuscito ad avere la testa di Hildebrand – con un?operazione di violazione del segreto bancario che gli ha attirato molte critiche anche negli ambienti economico-finanziari – il partito che è ancora di Christoph Blocher sta vivendo una fase di serie difficoltà, divisioni interne, incapacità di produrre nuovi leader che abbiano il formato di uomini di Stato. A queste difficoltà interne corrisponde una perdita di consensi elettorali sul piano federale e negli ultimi mesi anche nei Parlamenti cantonali. L?UDC sta attraversando una fase difficile e qualcuno punta il dito contro una specie di ostracismo che la maggioranza della classe politica svizzera e il cosiddetto «mainstream» esprimono nei suoi confronti. Nel suo ultimo editoriale, il direttore della Weltwoche Roger Köppel fa addirittura un ardito (e per certi versi stimolante) paragone fra l?ostracismo esercitato nel secondo dopoguerra dalla Svizzera benpensante nei confronti della sinistra – liquidata sommariamente come «emanazione di Mosca» – e l?UDC, considerata una semplice «emanazione di Herrliberg» (il Comune dove abita Christoph Blocher). Se è vero che l?avversione di molte cerchie in Svizzera verso questo partito è cresciuta ed è spesso ottusamente aprioristica («tutto ciò che viene dall?UDC è sbagliato per principio»), occorre chiedersi anche se l?UDC stessa non abbia contribuito ad amplificare la diffidenza e talvolta l?ostilità nei suoi confronti e se il sistema politico elvetico non sia per sua natura poco ricettivo di taluni atteggiamenti delle frange più oltranziste dell?UDC e di alcuni tratti del suo leader storico: Christoph Blocher. Il discorso sarebbe ovviamente lungo e si possono dare qui soltanto alcuni spunti di riflessione. Io voglio solo accennare ad alcuni aspetti problematici. La demonizzazione dell?UDC che giustamente denuncia Köppel contraddistingue purtroppo l?atteggiamento di una parte non indifferente di svizzeri. E ciò è scorretto e ingiustificato. Si può essere di parere diverso rispetto ad un avversario politico, ma in democrazia non si può per partito preso e con acrimonia sbeffeggiarlo o ostracizzarlo. Ma l?UDC stessa come si è mossa nelle sue campagne politiche? E come si è mossa al proprio interno nei confronti dei moderati che fanno parte del suo patrimonio storico? Si ricorderà certamente una dozzina di anni fa la campagna UDC contro i socialisti, raffigurati come ratti rossi, campagna che non si discostava gran che dal cliché utilizzato in Europa e in Svizzera contro il pericolo rosso durante anni ben diversi da quelli odierni: allorché Stalin rappresentava un pericolo vero per le democrazie. Per non parlare della demonizzazione degli stranieri e degli slogan che dividono gli Svizzeri in due: quelli «veri, che votano UDC», e gli altri (sottinteso... che non sono Svizzeri). Toni e accenti che dividono, che demonizzano l?avversario, poco compatibili con un Paese basato sulla democrazia diretta in cui vale il principio che anche il perdente, l?avversario, ha sempre una parte di ragione. Il modo con cui d?altronde i vertici del partito hanno marginalizzato e osteggiato con tutti i mezzi i moderati bernesi e grigionesi (ben prima del caso Widmer-Schlumpf) non è forse ostracismo? Non si può invocare la «Streitkultur», la cultura del conflitto e delle baruffe che mal si attaglia con le tradizioni elvetiche, come fa l?UDC da qualche tempo, e poi meravigliarsi se i propri oppositori fanno altrettanto. La figura di Christoph Blocher pone un problema analogo, indipendentemente dal suo formato intellettuale e politico di leader carismatico di un movimento che volenti o nolenti ha segnato la storia della Svizzera negli ultimi vent?anni. Per riprendere l?analogia di Roger Köppel, se è vero che l?ostracismo verso i «rossi» è stato assai diffuso in Svizzera per lungo tempo, quando il nostro Paese ha deciso di raddoppiare la presenza socialista in Governo nel 1959, il Parlamento non ha aperto le porte al bollente tribuno Bringolf (proposto dal PS) bensì al moderato Tschudi. Mentre invece Blocher fu eletto in Consiglio federale.Fatti recenti (dall?incapacità di farsi da parte a tempo debito, lasciando spazio ad altre figure in grado di ambire al Consiglio federale oppure di far crescere giovani di valore nel partito, all?operazione vendetta contro l?accoppiata Hildebrand/Widmer-Schlumpf) dimostrano i limiti di una figura politica di grande formato che finisce ormai per nuocere al proprio partito più di quanto non gli renda servizio.«Il suo partito ha ancora bisogno di un padrino Blocher? Perché non lasciare il posto ad altri?», gli chiedevo in un?intervista il 21 gennaio 2008. «Non sono un padrino, sono solo uno dei vicepresidenti» – ironizzava Blocher, prima di aggiungere che «il partito ha eccellenti leader, è ricco di personalità, e può ottenere molti successi e li otterrà». I fatti non sembrano dargli ragione.