Marcia indietro senza sconquasso

Il buon comportamento della Borsa svizzera ci rafforza nell’opinione che le decisioni prese dal Consiglio federale saranno in grado di cambiare la decisione di Donald Trump di imporre dazi doganali del 39% sulle esportazioni elvetiche negli Stati Uniti. Appare quindi giustificata la fiducia su un buon esito dei negoziati tra i due Paesi che si terranno nei prossimi giorni, ossia prima di venerdì prossimo quando il presidente americano comincerà a firmare i decreti esecutivi sui dazi imposti a mezzo mondo. Le ragioni sono molte. L’avanzo commerciale di 40 miliardi della Svizzera, invocato come ingiustificabile ed insostenibile da Trump, è dovuto essenzialmente a due settori. Il primo è il settore farmaceutico, che esporta oltre Atlantico il 48% dell’export elvetico totale; il secondo è l’oro con il 22%. In quest’ultimo caso la soluzione è semplice: basta che le raffinerie del Mendrisiotto rimandino in Gran Bretagna l’oro che da là proviene per poi spedirlo negli Stati Uniti (con il vantaggio di pagare solo il 10% dei dazi imposti a Londra). Nel caso dei prodotti farmaceutici, la questione è molto più complicata, poiché non è chiaro se cadranno sotto il capitolo dei dazi al 39% o avranno un trattamento specifico e ciò perché l’amministrazione americana ha aperto una vertenza anche con le aziende americane del settore affinché abbassino il costo delle medicine. Inoltre la Svizzera è il sesto investitore diretto negli Stati Uniti e non solo Roche e Novartis hanno impianti produttivi in America, dove trasferire parte delle loro esportazioni.
Le piccole e medie industrie saranno le più colpite (tra cui anche quelle farmaceutiche). Le più esposte sono l’orologeria, la meccanica di precisione, la meccanica e il settore dei prodotti per l’energia elettrica. Queste sono di solito aziende di nicchia che fanno utili e hanno una clientela consolidata e quindi in grado di sostenere questi dazi anche se dovranno fare i conti con i concorrenti europei e giapponesi che godranno di dazi nettamente inferiori.
La situazione non sarebbe drammatica nemmeno se Donald Trump non vorrà fare alcuna concessione alla Svizzera. La nostra economia si è infatti da tempo abituata a convivere con un continuo apprezzamento del franco. Questa convivenza è stata sopportata in modo egregio non solo quando il valore del franco saliva in modo graduale, ma anche quando avvenivano violenti strappi verso l’alto, come quando la Banca Nazionale abbandonò la soglia minima del tasso di cambio del franco rispetto all’euro.
Quindi i dazi americani non provocheranno alcuno sconquasso, poiché l’industria elvetica è la più innovativa del mondo e sarà in grado di superare pure le «follie» di Donald Trump. A conferma di questa tesi, cito le previsioni del Politecnico di Zurigo: i dazi statunitensi dovrebbero ridurre la crescita del nostro PIL dallo 0,3% allo 0,6%. Dunque non vi sarebbe nemmeno una recessione, poiché il 2025 avrebbe dovuto chiudersi con una crescita dell’1%.
In conclusione tutto lascia pensare che la Casa Bianca farà (almeno una parziale) marcia indietro rispetto ai dazi promessi da Donald Trump. Invece dei dazi, vi è motivo di preoccuparsi per la frenata della crescita americana dovuta proprio alla guerra commerciale scatenata da Donald Trump.