Meno poveri nel mondo globalizzato

di FABIO PONTIGGIA - Siamo abituati a sentir dire che l?evoluzione economica degli ultimi tre decenni ha creato solo disastri. Quando però si vanno a verificare i fatti, molte teorie si sciolgono come neve al sole. Uno dei terreni sui quali il catastrofismo planetario si è maggiormente esercitato è quello della povertà. La tesi, a lungo sostenuta, è che la maggiore apertura dei mercati, cioè il processo di globalizzazione accelerato a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, abbia fatto aumentare la povertà nel mondo. Dopo i coraggiosi studi pionieristici di alcuni economisti, inizialmente snobbati dalle organizzazioni internazionali che si occupano di sviluppo e di lotta alla povertà, da un po? di tempo l?evidenza di un mondo meno povero è documentata ufficialmente anno dopo anno.La Banca mondiale ha aggiornato recentemente la sua complessa e dettagliata statistica. Cosa emerge dai nuovi dati? Emerge una poderosa diminuzione sia del tasso di povertà nel mondo sia del numero assoluto di persone che vivono in condizioni di povertà vera, cioè in quello stato di miseria che priva l?individuo delle più elementari condizioni di sopravvivenza. Negli ultimi tre decenni (dal 1981 al 2008) la quota di persone che vivono in povertà estrema è diminuita dal 52,1% al 22,4% della popolazione totale. Il numero di poveri è sceso da 1 miliardo e 937 milioni nel 1981 a 1 miliardo e 288 milioni, sebbene la popolazione globale sia aumentata, nello stesso arco di tempo, da 3 miliardi e 715 milioni a 5 miliardi e 745 milioni di individui. Dunque, due miliardi in più di abitanti, 650 milioni di poveri in meno. E in base alle stime della stessa Banca mondiale, il miglioramento sarebbe proseguito anche negli anni dal 2008 al 2010 nonostante la pesante crisi della finanza internazionale (che non ha tuttavia colpito i Paesi emergenti o non li ha comunque investiti nella stessa misura dei Paesi avanzati).La soglia di povertà assoluta è stabilita dalla Banca mondiale in 1,25 dollari al giorno pro capite. Naturalmente il limite è calcolato a parità di potere d?acquisto ed è indicizzato (sui prezzi del 2005). Fino a un paio d?anni fa la soglia della povertà più nera era stabilita in 1 dollaro al giorno; poi è stata aumentata per tenere meglio conto delle esigenze minime effettive delle persone. Va anche detto che alcuni economisti giungono a stime nettamente inferiori sul numero assoluto di poveri nel mondo: la tendenza riscontrata nei diversi studi è in ogni caso la medesima. La diminuzione massiccia della povertà è avvenuta in quasi tutte le regioni del mondo. Quella più spettacolare ha interessato l?Asia orientale e il Pacifico, grazie soprattutto allo straordinario sviluppo economico della Cina. In quest?area la quota di persone povere è scesa dal 77,2% del 1981 (quando la svolta economica decisa nel 1978 da Deng Xiao Ping era solo agli inizi) al 14,3% nel 2008 e da oltre un miliardo di persone a soli 284 milioni. Ma anche l?Asia meridionale ha fatto passi da gigante (dal 61,1% al 36%), come pure l?America latina e i Caraibi (dall?11,9% al 6,5%), il Medio Oriente e l?Africa del nord (dal 9,6% al 2,7%). Non vi è quindi stato solo il miracolo del comunismo ammodernato dai cinesi.Unica eccezione è l?Africa subsahariana. Nei Paesi di quest?area flagellata dall?incapacità governativa, dalla corruzione, dalla belligeranza e dai conflitti tribali, dalla mancanza di libertà (politica ed economica), la quota di persone costrette a vivere in condizioni di miseria assoluta è sì diminuita (dal 51,4% del 1981 al 47,5% del 2008, dopo aver toccato il 59,4% nel 1993), ma, in concomitanza con il forte sviluppo demografico, il numero dei poveri è aumentato: da 205 milioni di individui nel 1981 a 386 milioni nel 2008 (nel 2005 i poveri assoluti erano addirittura 395 milioni). L?Africa subsahariana, per le ragioni dette, non ha quindi potuto beneficiare degli impulsi positivi dati dal processo di globalizzazione. Il miglioramento, in quei Paesi, è stato quasi impercettibile. Questo è il dramma che la comunità internazionale dovrebbe affrontare con ben altra determinazione. I successi conseguiti altrove dicono quale sia la strada da seguire. Il piccolo passo avanti fatto negli ultimissimi anni coincide con il crescente interessamento cinese al continente nero. Vogliamo lasciar fare tutto a Pechino?