Michelle va in aiuto di Barack

di GERARDO MORINA - In base alla mania americana per gli acronimi, lui è POTUS (President Of The United States), lei è FLOTUS (First Lady Of The United States). Lui ha 49 anni, lei tre di meno. Lui la chiama «The Boss» e chiede direttamente al pubblico che cosa pensi di lei: «She?s kind of cute, isn?t she?» («un tipo in gamba,no?»). Lei lo presenta alle platee semplicemente come Barack e lo guarda con amorevole distacco.A lui spetta la qualifica di «commander-in-chief» e lei si prende quella di «mom-in-chief», suprema figura di riferimento per le figlie Sasha e Malia. I sondaggi dicono che lei, Michelle LaVaughn Robinson in Obama, prima donna afroamericana a ricoprire il ruolo di First Lady, risulta molto più popolare del marito, già messo a terra da sondaggi politicamente poco lusinghieri. E, come se non bastasse, appena dieci giorni fa la rivista Forbes l?ha classificata la donna più potente del mondo, spodestando la cancelliera tedesca Angela Merkel che l?anno scorso era in cima alla classifica. Motivo? «Michelle Obama» – spiega Forbes – «ha saputo trasformare la carica di First Lady con la forza della sua personalità». Non tutta l?America è tuttavia d?accordo con questo primato e ricorda precedenti trascorsi, neppure tanto lontani nel tempo. Nel pieno dello scontro elettorale per le presidenziali, Michelle fu infatti accusata di scarso patriottismo (quando si disse «per la prima volta orgogliosa» del suo Paese) nonché di eleganza discutibile, con vestiti inappropriati per una potenziale First Lady. Ci fu anche chi urlò allo scandalo quando Michelle fu ripresa nell?atto di salutare il marito su un palco con un «fist bump» (un pugno contro pugno, segno di riconoscimento tra due amici). Nè, lo scorso anno, è stato segno di totale apprezzamento la foto apparsa su Internet di una Michelle raffigurata con sembianze da scimmia. Ma si tratta di cose passate e oggi la figura di Michelle Obama sembra essersi fatta più aggraziata e «professionale». Certo, i media americani sono giunti a occuparsi più delle sue scarpe e dei suoi vestiti che non del suo ruolo, impegnato nella difesa del cibo salutare (l?orto allestito in un prato della Casa Bianca) e nella lotta contro l?obesità infantile. Lontana dall?influenza di una Eleanor Roosevelt, dalla pacatezza di una Laura Bush o dall?ambizione politica di una Hillary Clinton, in una recente intervista Michelle ha spiegato la sua filosofia: «Conciliare il ruolo di mamma, moglie e figura pubblica, decisa a lasciare qualcosa dietro di me che un giorno, quando non ci sarò più, farà dire alla gente che qualcosa è cambiato».Ed è proprio per questa immagine ordinaria ma di richiamo che l?amministrazione del partito democratico l?ha scelta per farla scendere direttamente in campo, sia per migliorare le sorti del partito, sia per raccogliere fondi preziosi nelle poche settimane che separano il Paese dalle elezioni di metà mandato del 2 novembre, giorno in cui i cittadini USA rinnovano tutta la Camera, un terzo del Senato e i governatori di 39 Stati. L?impegno di Michelle Obama rappresenta quindi il tentativo estremo dei democratici di mantenere la maggioranza al Congresso, che quasi certamente vedrà una riconquista repubblicana dopo quattro anni. L?«appeal» di sostegno da parte di Michelle è indirizzato soprattutto verso categorie apparse ultimamente sfiduciate ma che sono state fondamentali nella conquista della Casa Bianca nel 2008, ovvero le donne, gli indipendenti e i giovani. Non a caso,la scorsa settimana gli Obama si sono trattenuti in Ohio, tradizionale Stato-cerniera della Confederazione ma anche luogo che tre anni fa aveva tenuto a battesimo lo slogan «Yes we can». Certo, da solo il carisma di Michelle non potrà fare molto per riconquistare l?atmosfera magica che portò l?attuale presidente alla Casa Bianca. La First Lady sarà pertanto affiancata da Bill Clinton, vero carro armato chiamato a contrastare la potenza di fuoco a cui stanno ricorrendo i repubblicani.Il vero scontro sarà con Sarah Palin, già candidata alla vicepresidenza con John McCain nelle elezioni del 2008 e oggi al centro della galassia del movimento anti-Stato e anti-tasse rappresentato dal Tea Party. La destra schiera inoltre sostenitori come lo stesso McCain, Newt Gingrich, Mitt Romney, Rudolph Giuliani e perfino l?ex vicepresidente Dick Cheney. Ai quali si è anche affiancato come regista quel Karl Rove che fu lo stratega delle vittorie elettorali di Bush. Una lotta tanto più impari per gli Obama quanto perché, spinti dalla foga della riconquista del Congresso, i repubblicani stanno raccogliendo cifre ragguardevoli rispetto a quanto riesca a fare, con tutta la buona volontà di Michelle Obama, il partito americano dell?asinello.