Migrazione, un nuovo sistema

di SERGIO P. ERMOTTI (Group chief executive officer di UBS) - L'accettazione dell'iniziativa contro l'immigrazione di massa da parte degli elettori svizzeri non deve necessariamente essere intesa come un voto di opposizione nei confronti dell'Europa, quanto piuttosto un invito a riconsiderare il dossier sulla libera circolazione, chiarire i punti ancora aperti e orientare al futuro gli accordi bilaterali siglati con l'UE.Il 9 febbraio ho votato no all'iniziativa contro l'immigrazione di massa, nonostante condivida alcuni degli argomenti sostenuti dai promotori. L'essenziale ora è che la Svizzera si mostri coesa e agisca con determinazione, consapevolezza e senza paraocchi ideologici per arrivare a trovare una soluzione che salvaguardi la competitività della nostra economia. I rappresentanti politici, e noi in prima persona come dirigenti dell'economia privata, abbiamo sottovalutato le preoccupazioni della popolazione. Quanto è successo ha mostrato con estrema evidenza che la politica non ha valutato con la dovuta attenzione le ripercussioni negative dell'immigrazione e che le considerazioni di ordine economico non bastano.La Svizzera è un'economia aperta e tale deve rimanere. Il sì all'iniziativa è un segnale incontrovertibile dell'esigenza di regolare nuovamente il flusso migratorio in entrata con maggiore rigore, continuando allo stesso tempo a sviluppare i rapporti con l'Europa – e questo anche nell'interesse dell'UE. L'economia svizzera è di supporto ad un numero di cittadini provenienti dall'UE in maniera proporzionalmente superiore a qualunque altro Paese membro e va ricordato che il tema dell'immigrazione è un argomento delicato anche in molti altri Paesi europei.Ciò che differenzia la Svizzera è la percentuale della presenza straniera rispetto alla popolazione totale, che con il 23% è fra le più elevate in Europa. L'UE dovrebbe comprendere che una quota di stranieri pari a quasi un quarto degli abitanti può causare delle reazioni politiche. È un aspetto che in una democrazia non può essere ignorato. Una consultazione popolare su questo tema, avrebbe dato un esito simile in molti altri Paesi europei, pertanto il risultato scaturito dal referendum svizzero non deve essere inteso necessariamente come voto di opposizione nei confronti dell'Europa, bensì come un segnale della necessità di un intervento. Per realizzare un'integrazione europea sostenibile nel tempo e largamente accettata è richiesta una notevole dose di flessibilità e pragmatismo, e non solo per quanto riguarda la libera circolazione delle persone.Che fare ora? Accanto alla definizione di un nuovo sistema di migrazione, è necessario innanzitutto analizzare con estrema attenzione le preoccupazioni della popolazione, contrastando gli effetti negativi con apposite misure di supporto ed elaborando proposte di soluzione proprio negli ambiti più critici. I nodi cruciali si chiamano «stress da sovraffollamento», «espansione abnorme degli insediamenti» e «stagnazione del potere d'acquisto». In secondo luogo, occorre trovare con l'UE una soluzione che impieghi gli strumenti già a disposizione per mantenere l'Accordo sulla libera circolazione delle persone. In questo contesto, dipingere gli Accordi bilaterali con l'UE come un piatto di portata da cui la Svizzera si è servita scegliendo i «bocconcini» migliori è una distorsione della realtà e le minacce dirette e indirette non fanno che ostacolare il processo di ricerca di una soluzione.L'UE beneficia del partenariato almeno quanto la Svizzera. È vero che le aziende svizzere hanno assoluto bisogno di un accesso al mercato comunitario, per quanto possibile, privo di barriere discriminatorie: esse esportano oltre la metà dei loro prodotti nell'UE e generano quotidianamente un fatturato di 325 milioni di franchi. Ma, allo stesso tempo, l'UE trae vantaggi ancora più consistenti dall'accesso al mercato elvetico. Le importazioni annue della Svizzera di beni e servizi dall'UE superano le esportazioni verso quello stesso mercato di ben 40 miliardi di euro. Più di 1,2 milioni di cittadini UE lavorano e vivono in Svizzera, un contingente tre volte superiore a quello degli svizzeri che operano nell'UE (400.000). Circa 300.000 frontalieri entrano ogni giorno in Svizzera per guadagnarsi da vivere; e nelle società svizzere dislocate sul territorio comunitario lavorano oltre un milione di collaboratori. Già solo per questi motivi è importante che si arrivi ad una soluzione accettabile per entrambi le parti.Il futuro sistema di migrazione dovrà essere liberale, senza appesantimenti burocratici, in linea con il principio di fondo della libera circolazione negli scambi con l'UE e nell'ottica del mercato domestico del lavoro. A mio avviso, si potrebbe ipotizzare ad esempio un meccanismo con tetti massimi e clausole di protezione, combinato con apposite misure di supporto – ma non voglio anticipare il dibattito politico. Dal mio punto di vista, una discriminazione a seconda dei Paesi UE e delle professioni non è né auspicabile né realizzabile. Inoltre, gli stranieri che oggi vivono in Svizzera devono poter fare affidamento, al più presto possibile, su un quadro normativo chiaro e stabile.Una isolata considerazione dell'Accordo sulla libera circolazione sarebbe però errata. È necessario procedere in modo coordinato sui vari fronti. Sarebbe poco logico cercare una soluzione al dossier sulla libera circolazione senza chiarire le norme con cui adeguare e sviluppare in futuro gli accordi bilaterali con l'UE, e senza chiarire i punti ancora aperti. Per l'economia è indispensabile che si prosegua sulla strada della reciprocità e che si allarghi ulteriormente l'accesso al mercato. Un approccio coordinato comprende anche il dossier fiscale. Concessioni sul tema della tassazione delle imprese senza chiarire quello della libera circolazione delle persone non avrebbe senso. I colloqui con l'UE devono avvenire quindi in modo coordinato snodandosi lungo tre direttrici convergenti: la libera circolazione delle persone, l'aspetto istituzionale e il tema della fiscalità.L'accettazione dell'iniziativa deve servire da stimolo ad affrontare nel loro insieme le numerose tematiche ancora aperte tra la Svizzera e l'UE. La situazione che si configura rappresenta un'opportunità per avviare le ormai necessarie trattative. Sono convinto che questo vada a vantaggio anche dell'UE. Senza condizioni quadro attrattive e accesso a specialisti e dirigenti stranieri con la necessaria esperienza, sarà impossibile garantire a lungo termine il ruolo della Svizzera come polo economico di richiamo internazionale. Per rispetto alle generazioni future, abbiamo l'obbligo di concentrare tutti i nostri sforzi per proiettare il nostro Paese nel futuro con un'economia forte, aperta e innovativa.