Natale e Capodanno a Kabul: se l’allenamento si fa ballando

Questa volta ho portato l’elettrostimolatore. Mi sono detto: troppo difficile correre a Kabul in un momento di massima tensione. Le persone non sanno bene cosa potrebbe accadere l’indomani. Interrompo perciò gli allenamenti per due settimane. Ma nulla di grave. Ne avevo bisogno dopotutto. Il mio aereo atterra in Afghanistan alle 6.30 del mattino. Il sole sorge dietro le montagne. Una palla di fuoco che illumina la terra marrone e rocciosa. Ora che è inverno le vette sono pure innevate. Unica pecca: l’inquinamento. In questi giorni Kabul è considerata, con Nuova Delhi, la città più inquinata al mondo. Si respira carbone, a volte si arriva a stento a vedere dall’altro lato della strada.
Il mio amico Omaid manda Moshk a prendermi. È il suo autista. Lo vedo, ci abbracciamo a lungo e affettuosamente prima di passare ai convenevoli «Chator astin? Jur astin?» (Tutto bene? A posto?), una lunga tiritera per accertarsi che tutti stiano bene, famiglia compresa. Poi, usciti dall’aeroporto si è catapultati in Afghanistan. Che grande piacere. È come essere a casa. Il rispetto e la gentilezza degli afghani sono tratti che non ho mai riscontrato così marcatamente altrove. Arrivo a casa di Omaid stravolto dal viaggio. Mi stendo e mi addormento per un’ora. Omaid esce di casa per andare in ufficio. Dice che in serata ci sarà un festino in casa. Ma niente di serio. Intanto organizzo le mie cose, riabbraccio la persona a me più importante. Un colpo al cuore, come sempre. Nel pomeriggio vedo il mio fixer, uno sciacallo di notizie. Ha trovato altre incredibili storie. Dovremo prendere qualche rischio dice. Ma ormai siamo in ballo e quindi balliamo. Ballo pure la sera anche se il fisico crolla.
In questi giorni la macchina di Omaid è dal carrozziere, perciò guida una Mercedes Unique degli anni ’80. Apparteneva all’élite comunista di un tempo. A me le macchine non interessano. Ma vedere sfrecciare un modello così in mezzo alle vie piene di vita di Kabul fa venire i brividi. Mi fa immaginare come doveva essere il Paese prima dell’arrivo dell’Armata Rossa, esattamente 40 anni fa. Fa freddo. Le case non sono riscaldate a dovere. È sempre un Paese molto povero. E poi c’è la guerra, l’insicurezza. Ma il sorriso, a queste persone, non lo toglie proprio nessuno.
Comincio il mio soggiorno con il piede giusto. Due giornate di duro lavoro, interviste fruttuose e interessanti. Alcune di queste pazze, che nessuno ha mai osato fare. E poi la sera festa. Festa a ritmo di canzoni iraniane, afghane, pakistane ma anche Brasil, la la la la la la la laaa o J-Ax con Ostia Lido. Insomma di tutto e di più. L’alcol che scorre a fiumi, gente che balla che non si regge in piedi o che prova a baciare tutto. Ed è così che ho anche passato il Capodanno l’altra sera. In Afghanistan non si festeggia. Ma un amico di Omaid ha dato una festa. È solo una piccola élite che partecipa a queste feste «à l’occidentale» ma è di per sé uno spettacolo raro e mai visto prima. Inoltre, per rendere tutto ancora più speciale, proprio a mezzanotte ha cominciato a nevicare. E pensare che qualche ora prima stavo parlando con due estremisti nei pressi di Jalalabad, nell’est del Paese. Un cambio radicale. Sono tornato in città appena in tempo per andare alla festa. Stravolto. E poi la Mercedes Unique ha deciso di bloccarsi improvvisamente in mezzo alla strada. E credetemi, il traffico di Kabul non ha eguali al mondo. È il caos totale. Andare in contromano potrebbe addirittura essere legale. Perciò, io e Massud, un altro amico, siamo scesi e abbiamo spinto la macchina per non congestionare ulteriormente la situazione. Ci sono venuti a prendere e siamo andati alla festa. Ho ballato fino alle 4 del mattino. Fa testo come allenamento? Non m’importa. Mi godo l’Afghanistan.