Necessità e virtù

Di questi tempi pandemici capita spesso di leggere o sentire frasi come questa: «Non possiamo svolgere le nostre attività in presenza? Pazienza: facciamo di necessità virtù e svolgiamole in assenza», e via a proporre discorsi, convegni, incontri, conferenze, lezioni, esami ecc. ma anche acquisti, online. Ma che cosa significa, a pensarci bene, «fare di necessità virtù»? Qualcosa di molto simile alla resilienza, ovvero la capacità propria dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, che è diventata, per analogia, l’abilità di resistere ad avversità ed eventi negativi trasformando l’esperienza avversa in opportunità di crescita. Parola alla moda e concetto usato a proposito e sproposito, la resilienza condivide col motto precedente («fare di necessità virtù») la tendenza ad accettare scenari di crisi e a ricavarne il meglio, invece che immaginare scenari diversi.
Prendiamo un esempio alto dai Promessi sposi di Alessandro Manzoni. Manzoni sta raccontando, nel cap. X, la storia della Monaca di Monza, nel cui monastero Lucia avrebbe trovato riparo. Ebbene Gertrude (tale il suo nome) era stata costretta dai genitori alla vita conventuale, per la quale non provava alcuna vocazione, mentre si sentiva attratta dalla vita del mondo. A tale costrizione la Monaca aveva reagito in maniera ribelle. Ora, invece di dimostrare comprensione per il suo personaggio, Manzoni si lascia andare a un predicozzo che suona alle nostre orecchie di allegri miscredenti per quel che è, cioè un invito alla rassegnazione: «É una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana - scrive infatti Manzoni - il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato c’è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c’è, essa dà il modo di far...di necessità virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch’è stato intrapreso per leggerezza; piega l’animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza ecc. ecc. Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta». Che cosa succede qui? Che in queste parole la faccenda della resilienza prende una piega amara, perché un conto è adattarsi a una disgrazia naturale o a un incidente casuale, e cercare di reagire e di fare del proprio meglio; un conto rassegnarsi alla prepotenza e all’ingiustizia. Ogni vittima che accetta passivamente (facendone virtù!) un sistema ingiusto aiuta a mantenere in vita il sistema. Chi si rassegna all’ingiustizia vi collabora. Meglio la ribellione di Gertrude, che anche da monaca la dimostrava con «una ciocchettina di neri capelli» che usciva dalla benda che le cingeva la fronte.