Nel caos il silenzio dell'UDC

Giovanni Galli
14.10.2014 05:05

di GIOVANNI GALLI - Continua ad esserci parecchia agitazione attorno all'iniziativa popolare del 9 febbraio. Non passa praticamente settimana in cui non escano nuove proposte su come applicare il mandato costituzionale o senza un tentativo volto in qualche modo a neutralizzarlo, a tutela degli Accordi bilaterali con l'Unione europea. In tutto questo fermento risalta l'atteggiamento ambiguo dell'UDC, che finora è rimasta alla finestra, limitandosi a minacciare il lancio di un'iniziativa di attuazione qualora a Berna si cercasse di aggirare il voto contro l'immigrazione di massa e non si applicasse fedelmente il testo approvato dal popolo. Domenica Christoph Blocher ha fatto sapere di essere disposto a discutere soluzioni alternative ai contingenti, purché queste consentano di ridurre l'immigrazione. Una possibile via da approfondire, ha detto, è quella del professor Reiner Eichenberger, che propone di tassare i datori di lavoro che impiegano personale straniero o gli immigrati stessi. Se da un lato l'uomo forte dell'UDC ha buone ragioni per bollare come «scemenze» molte proposte sentite fino a questo momento, dall'altro anche la sua non sembra affatto a prova di bomba, perché rischia seriamente di scontrarsi con il principio della non discriminazione.

Su come applicare l'iniziativa del 9 febbraio c'è una tendenza diffusa a farla più facile di quanto in realtà non sia, perché in realtà le chance di trovare una soluzione eurocompatibile sono estremamente minime. La richiesta a Bruxelles di modificare l'accordo sulla libera circolazione con l'introduzione di contingenti e tetti massimi di manodopera estera cozza contro un principio che l'UE considera sacrosanto e sul quale non ha nessuna intenzione di trattare. La settimana scorsa il Consiglio federale ha adottato un mandato di negoziazione (attualmente in consultazione) per cercare una soluzione condivisa con l'Unione e che consenta, sulla base di un nuovo accordo in materia di libera circolazione, di mantenere l'intero impianto dei Bilaterali. Ora come ora, a meno di inaspettati cambiamenti di rotta all'interno dell'Unione, applicare il mandato costituzionale senza compromettere l'accordo sulla libera circolazione è una missione praticamente impossibile. L'unico appiglio per tentare di avviare un negoziato sono le dichiarazioni rilasciate in estate dall'allora responsabile della politica estera europea Catherine Ashton, che si era dichiarata disposta a discutere eventuali problemi pratici d'applicazione dell'accordo. Quest'ultimo afferma che in caso di serie difficoltà di ordine economico e sociale il Comitato misto Svizzera-UE deve esaminare misure appropriate e che se una delle due parti desidera una revisione deve sottomettere la proposta a tale comitato. Al momento tuttavia non esiste il consenso da parte di Bruxelles di aprire negoziati. Stando ad indiscrezioni apparse sulla stampa confederata, gli unici punti su cui l'Europa sarebbe disposta a trattare sono le restrizioni all'accesso alle prestazioni sociali da parte di cittadini dell'UE e gli abusi in materia di assicurazione disoccupazione. Una rinegoziazione generale appare fuori discussione.

D'altra parte, oltre a dover fare i conti con l'oste europeo, bisogna farli anche col padrone di casa svizzero. Per quanto ostico, il percorso di guerra che il Consiglio federale si appresta ad affrontare è ancora la via con le maggiori chance di riuscita. L'idea di alcuni ambienti di agganciare i Bilaterali alla Carta fondamentale o di neutralizzare il voto del 9 febbraio con altre formule di rilievo costituzionale, rischia invece di essere controproducente. Si rimprovera indirettamente al popolo di avere sbagliato a votare e si tenta di riportarlo alle urne per fargli fare dietrofront, ottenendo così l'effetto contrario. La strada battuta dal Governo, che in dicembre dovrebbe mettere in consultazione una proposta di legge, è la più corretta. Per due ragioni. Innanzitutto perché non prevede scorciatoie e furbate. In secondo luogo perché si dimostra di aver tentato tutto il possibile per trovare un'intesa prima di un eventuale ritorno alle urne dovuto all'incompatibilità fra i desideri svizzeri e la libera circolazione. Tuttavia, in questa ricerca di esplorare tutte le strade, manca un elemento importante: la collaborazione fattiva degli iniziativisti. L'UDC non è un'organizzazione qualsiasi che ha vinto inaspettatamente una votazione popolare. È il partito più forte a livello nazionale e ha responsabilità governative. Ad oggi, non ha ancora fornito un aiuto concreto su come applicare la sua iniziativa né ha fatto proposte credibili alternative ai Bilaterali, per ridefinire i rapporti con l'UE. Quella di collaborare a trovare soluzioni pragmatiche è una responsabilità a cui l'UDC non potrà sottrarsi ancora a lungo.