Nessun passo per l’uomo, un gigantesco balzo per l’umanità

Tre, due, uno. Partito. Un po’ in sordina, forse coperto dai bagordi natalizi, il telescopio spaziale James Webb (JWST) ha lasciato ieri il nostro pianeta per intraprendere un lungo percorso, quello che nell’arco di una trentina di giorni lo porterà in un punto (di Lagrange) a un milione e cinquecento mila chilometri da qui, dal quale comincerà entro 6 mesi a mandarci immagini nuove, da pelle d’oca: quelle riguardanti la formazione delle prime stelle e galassie avvenuta oltre 13 miliardi di anni fa. Ma come? Viaggerà nel tempo? Sì e no. Immaginiamo una serata tempestosa. Piove a catinelle e un lampo illumina a giorno il cielo. Uno, due, tre secondi, e poi eccolo: il tuono. Un colpo secco che sovrasta i rumori cittadini. Perché due aspetti dello stesso evento meteorologico si manifestano ai nostri sensi in tempi diversi? È presto detto: la luce si sposta molto più velocemente di quanto non facciano le onde sonore ed è per questo che il fulmine, prima di udirlo, lo vediamo. Più è distante l’oggetto che li ha emessi, più tempo ci mettono luce e suono a raggiungere i nostri occhi e orecchie che, per certi versi, funzionano quindi come delle piccole macchine del tempo sensoriali, fornendoci con un leggero scarto informazioni su ciò che ci circonda. Sulla minuscola Terra è difficile concepire come non solo l’udito, ma anche la vista, funzioni a “scoppio ritardato”. Ma appena si alzano gli occhi al cielo, all’Universo, capiamo come le enormi distanze ci obblighino ad osservare tutto in differita. Per fare un esempio, la luce ci mette otto minuti e venti secondi per viaggiare dal Sole alla Terra. Per questo, quando raggiunge i nostri occhi, ci fornisce un’immagine della nostra stella non equivalente a com’è in quel momento, ma a come lo era otto minuti e venti secondi prima.
Ed ecco che, tenendo a mente questo fattore, le promesse sulle potenzialità del JWST non sembrano più mera fantascienza. Grazie alla luce emessa da quelle prime (lontanissime) stelle, luce che ancora viaggia verso noi, con questo potente strumento saremo in grado di fare un tuffo nel passato più remoto, avvicinarci come mai fatto al Big Bang. Ma non solo: il JWST punta a scoprire nuovi pianeti e, perché no, tracce di vita.
Così maestoso sulla rampa di lancio, nelle immagini di ieri il telescopio si è trasformato rapidamente in una formichina. E non solo per i vari stadi “persi” per strada: le distanze che questo strumento dovrà percorrere appaiono incredibili, insormontabili. Vogliamo giocare a pro e contro? Pro: a bordo non c’è nessuno. Del resto, mai un essere umano è andato oltre i 400.171 chilometri di distanza dalla Terra, record fatto registrare (suo malgrado) dall’equipaggio dell’Apollo 13 nel 1970. Contro: a bordo non c’è nessuno. E se qualcosa dovesse andare storto? Nessuna riparazione “umana” sarà possibile nel caso in cui, tra viaggio, posizionamento e dispiegamento del grande specchio, dovessero verificarsi incidenti o malfunzionamenti. E non è che non ne capitino: basti pensare a quanto passato dal nostro connazionale, l’astronauta Claude Nicollier, che in due occasioni dovette sudare sette camicie, insieme ai compagni, per la manutenzione dell’illustre predecessore del JWST, il telescopio spaziale Hubble (il quale staziona a “solo” 500 chilometri circa dal nostro pianeta). Insomma, nessuna vita umana a rischio, ma nessuno spazio per errori o contrattempi.
Come non capire dunque astronomi, ingegneri e scienziati vari (ma anche semplici appassionati) che nei prossimi mesi se ne staranno con le dita spasmodicamente incrociate, nella speranza che tutto vada per il meglio? Forse, così dovrebbe fare tutto il genere umano. Perché il 2021 non passi alla Storia come un altro annus horribilis segnato da pandemia, guerre e preoccupazioni climatiche, ma che sia invece ricordato per quel Natale in cui uno strumento impareggiabile è partito per una missione importantissima, quella di scoprire le origini di tutto.
Se dovesse andare in porto, per rivisitare le parole del leggendario Neil Armstrong, questa operazione potrebbe non rappresentare alcun passo per l’uomo, ma un gigantesco balzo per l’umanità.