Nobel per una pace che non c’è

Come era stato il caso per il presidente USA Barack Obama, anche per Manuel Santos il Nobel per la pace va inteso come un riconoscimento per gli sforzi finora fatti e come un incoraggiamento a proseguire nella stessa direzione
Osvaldo Migotto
08.10.2016 02:05

di OSVALDO MIGOTTO - Nel 2009, con una decisione che suscitò un certo stupore, l'Accademia di Oslo attribuì il Nobel per la Pace a Barack Obama, entrato in carica come primo presidente afroamericano degli Stati Uniti da meno di un anno. Tra le motivazioni fornite per l'attribuzione del prestigioso riconoscimento al nuovo inquilino della Casa Bianca figuravano «gli straordinari sforzi volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli». Il secondo mandato presidenziale di Obama sta volgendo al termine e, purtroppo, non si ha l'impressione che il leader dell'unica superpotenza mondiale si lasci alle spalle un mondo meno conflittuale. Quello da lui incassato nel 2009 è stato insomma un Nobel alle buone intenzioni, più che un riconoscimento per una vera svolta a favore della pace. Nel caso del presidente colombiano Juan Manuel Santos la situazione è diversa ma presenta alcune analogie con quanto accaduto con Obama.

L'impegno di Santos a favore della pace si è concentrato sul fronte interno e alcuni indubbi successi sono stati ottenuti: una tregua sostanziale e duratura è ormai realtà dopo oltre 50 anni di feroci scontri tra esercito e FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), l'intenzione di voler proseguire sulla strada del dialogo anche dopo la bocciatura popolare dell'accordo di pace sottoscritto dal presidente colombiano e dal leader dei guerriglieri Londoño lo scorso 26 settembre a Cartagena de Indias è stata ribadita da tutte le parti in causa. Eppure è prematuro affermare che le nuove trattative che si sono rese necessarie dopo la vittoria dei no nel referendum dello scorso 2 ottobre porteranno sicuramente alla pace.

Come era stato il caso per il presidente USA Barack Obama, anche per Manuel Santos il Nobel per la pace va inteso come un riconoscimento per gli sforzi finora fatti e come un incoraggiamento a proseguire nella stessa direzione. Ma per raggiungere l'agognata pace occorrerà remare ancora tanto, e spesso controcorrente. Il leader delle FARC ha fatto sapere di essere disposto ad alcune limature del testo dell'accordo di pace bocciato alle urne dalla popolazione colombiana (o, per meglio dire, di quella minoranza di aventi diritto al voto che si sono recati ai seggi).

Quali cambiamenti al ribasso, e con quali appoggi, Rodrigo Londoño riuscirà a far accettare ai suoi «ex» guerriglieri (almeno si spera che restino tali) è però tutto da verificare. Tra i punti che hanno suscitato maggiori critiche all'intesa di pace firmata lo scorso 26 settembre da Santos e Londoño figura infatti l'impunità anche per chi si è macchiato di gravi crimini; ci si accontenta di una confessione e del riconoscimento delle singole responsabilità.
Un po' pochino di fronte a certe efferatezze di cui si sono resi responsabili le FARC. Non che l'esercito abbia sempre operato nel rispetto della legalità e dei diritti umani. Ma è proprio per questo che il Paese per svoltare definitivamente verso la pace ha bisogno sì della verità su quanto avvenuto nei 52 anni di guerra civile, ma anche di punizioni esemplari per chi ha ucciso, rapito e torturato senza alcuna pietà e senza alcuna giustificazione plausibile. Inoltre, se gli ex guerriglieri aspirano veramente ad entrare nella vita politica del Paese, che lo facciano come tutti gli altri cittadini. Ossia impegnandosi a favore di un determinato programma e lavorando sul terreno per convincere l'elettorato sulle proprie buone intenzioni. Pretendere una rappresentanza garantita in Parlamento, solo come premio per aver rinunciato alla lotta armata, è un puro ricatto.

Non meno facile sarà il compito del presidente colombiano nel cercare di agganciare al processo di pace la destra conservatrice guidata dal suo ex amico Alvaro Uribe, l'ex presidente che ha accusato Santos di tradimento per aver avviato le trattative con i vertici politici delle FARC. Probabilmente gli scheletri nell'armadio non sono nascosti solo nel campo dei guerriglieri. La via della pace prevede un processo di ricerca e analisi volto a far luce sugli anni bui della guerra civile. E non è da escludere che tra i politici «per bene» che remano contro la riappacificazione vi siano anche personaggi dal passato non proprio limpido. La guerra, si sa, non di rado sprigiona mostri su tutti i fronti. Coraggio Santos, continua la battaglia per la pace.

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