La riflessione

Non sempre best seller è sinonimo di qualità

I premi letterari e le pubbliche presentazioni di libri sono sempre più dominate dagli autori di cassetta ai quali editori e addetti ai lavori tendono sovente a dare ingiustificate patenti di autorevolezza
Roberto Cotroneo
09.07.2020 06:00

Lo vogliamo mettere un punto definitivo su questa fissazione per i best seller? Su questo immenso equivoco per cui la letteratura, la buona narrativa e persino certa saggistica sono una corsa a ostacoli, dove il traguardo sono le migliaia di copie? Quelle migliaia di copie che dimostrerebbero quanto il libro sia quello giusto. E il successo sarebbe solo un modo differente per mostrare la qualità. E anche i premi letterari dovrebbero sancire quello che già sappiamo: che devono vincere quelli che hanno successo, e che i giurati dei premi guardano al successo come a una condizione indispensabile per votare un libro. Proprio in questi giorni si stanno assegnando i premi letterari, e si sta cominciando a pensare a come organizzare le presentazioni, dopo tutto quanto è successo in questi mesi. Ma non è un grande problema, le resse alle presentazioni dei libri si vedono raramente, al contrario di quanto avviene ai concerti. E quella pratica di incontrare il pubblico dei lettori, con qualche prudenza, può ricominciare.

Una spirale perversa
Ma ricomincia con una serie di certezze, che si fanno sempre più evidenti. La ricerca dei best-selleristi. Gli autori che vendono molto, e vendendo molto attirano pubblico, e il pubblico è il metro per ricevere i finanziamenti: il pubblico giustifica l’esborso di somme rilevanti per organizzare tutte le kermesse che in estate si susseguono una all’altra. Così gli organizzatori, anche se hanno un PhD in letteratura comparata ad Harvard, scelgono gli autori da invitare dopo aver letto, in modo assai poco comparato, le classifiche dei libri più venduti. Per cui troverete sempre più di frequente che ad aprire festival e manifestazioni arriva il narratore di successo, il saggista popolare, il poeta che tutti possono capire. Gli amministratori pubblici che finanziano sono molto felici. I direttori delle kermesse vantano numeri da stadio (a prescindere dalla COVID) e gli editori ci vanno a nozze perché manda-no in giro autori a vendere ancora più libri quelli che vendono di già. Accade la stessa cosa con i premi: un tempo indicavano ai lettori titoli di cui mai ci si sarebbe accorti, alle volte favorendo la carriera di un letterato. Oggi sottolineano e ribadiscono quello che si sa di già. Se premi uno sconosciuto, del premio non parlerà nessuno, se premi sempre gli stessi sarà un florilegio di eccitazioni e di consenso. È un sistema interessante, perché, passa anche dall’audience dei programmi televisivi. Il best-sellerista migliora l’ascolto del programma, al pari di un attore o di una popstar.

Nuove strategie di marketing
Ed è a questo punto che si genera un nuovo fenomeno, molto interessante. Un tempo gli autori di best seller erano soltanto autori di best seller, e mi si perdoni il gioco di parole. Autori popolari, libri che piacevano e che non pretendevano di essere niente di più di quanto mostravano. Ma nel nuovo sistema, che ormai si sta consolidando da alcuni anni, l’autore di best seller va travestito. Gli va data la patente di scrittore, si deve mettere in gioco una pantomima dove non solo vendi molto il libro pubblicato, ma devi affermare che si tratta di un libro importante, di un libro che resterà nella storia della letteratura. Il motivo per cui accade è semplice. Il lettore di libri scritti sempre peggio, assolu-tamente elementari, figli di una lingua ormai ridotta a poca cosa, hanno bisogno di essere adulati, elevati, devono pensare che leggere, per fare un esempio su tutti, Elena Ferrante, sia qualcosa di molto affascinante, qualcosa di letterario. E quindi si fa credere che certi libri sono importanti non per il numero di copie, ma per il loro valore; anzi che è proprio il valore a generare un gran numero di copie. È un sistema micidiale, che porta a un continuo smottamento verso il basso della letteratura e della cultura di un Paese. E ormai vale in tutta Europa.
Tanto tempo fa Alberto Arbasino, mi ha detto una cosa che non ho più dimenticato: «Ma tu sceglieresti un ristorante solo per il numero di coperti che fa a sera? Hai mai visto la classifica di un ristorante con quel criterio? E allora perché lo si fa con i libri?». Eravamo ancora agli inizi, i giornali chiamavano ancora a scrivere collaboratori autorevoli e di grande intelligenza, al di là del successo in libreria. Il mondo era diverso: esisteva un criterio di giudizio che si basava sulla competenza e sulla cultura, non sui numeri. Purtroppo Arbasino ha fatto in tempo ad accorgersi di quello che sta accadendo con sempre più evidenza. Con i librai che espongono solo best seller, con i critici che recensiscono soltanto quelli, con gli editori che non ripubblicano un autore, magari bravissimo, se non ha venduto abbastanza con il libro precedente, con i festival e i programmi televisivi che premiano dei soliti noti, dei premi letterari che vincono sempre le stesse per-sone. Non sarebbe giusto dire basta una volta per tutte?

I long seller
C’è il best seller e c’è il long seller. Il long seller, per molti, sarebbe un best seller, che continua a vendere (ma un po’ meno) dopo essere stato un best seller. Invece il long seller, molto spesso non è mai stato un best seller. Eppure vende più di un best seller. Si tratta di libri di riferimento, classici, che corrono sottotraccia, che ogni settimana, magari da quarant’anni vendono 100 copie. E arrivano a numeri che i best selleristi possono sognarsi. Tra questi titoli ne indico due su tutti. Siddartha di Herman Hesse e Se questo è un uomo di Primo Levi, che sono arrivati a milioni di copie vendute. Non appaiono nelle classifiche, ma stanno a dimostrare che il mondo dei lettori non è ancora perduto, che una speranza rimane ancora.