Nostalgia di Lambiel

Seguo distrattamente e con parecchia nostalgia gli Europei di pattinaggio artistico che si stanno svolgendo a Tallin e ancora una volta costringeranno gli appassionati svizzeri a masticare amaro. I nostri portabandiera arrancano, stavolta nemmeno Alexia Paganini, che due anni or sono aveva sfiorato il podio a Graz (4.), riuscirà ad avere una bella classifica. Come sono lontani i primi anni di questo secolo, durante i quali Stéphane Lambiel tra gli uomini e Sarah Meier tra le donne non solo c’incantavano con i loro salti e le loro trottole, ma vincevano pure! Due titoli e un terzo posto ai Mondiali più tre argenti europei e uno olimpico per Lambiel, un titolo continentale e due secondi posti per la pattinatrice zurighese.
Evidentemente, visti i disastri successi dopo il loro ritiro (non solo sul piano sportivo...), si deve parlare di exploit personali, di talento e volontà individuale, non certo di una scuola svizzera, che se esiste è prigioniera di vecchi schemi e poche risorse economiche. Tanto per chiarire: la miglior espressione del pattinaggio svizzero attuale, Alexia Paganini, non è mica stata formata sul ghiaccio delle piste rossocrociate, bensì negli Stati Uniti, dove è nata e cresciuta, figlia di un grigionese di Brusio. Come è stato possibile sperperare il capitale di entusiasmo e di risultati generati tra il 2003 e il 2011 è spiegabile solo col fatto che la classe dirigente di allora si è gonfiata il petto e si è cullata sugli allori senza averne nessun merito, dimenticandosi allegramente che dopo il presente arriva sempre il futuro e questo futuro va pianificato con strategie efficienti e obiettivi ambiziosi.
Costoso, esigente, durissimo e a volte ingrato, il pattinaggio artistico quando un atleta arriva ad un certo livello non è uno sport per tutti. Chi ha talento va aiutato in ogni modo e non lasciato solo, come è successo persino a Lambiel, che ha percorso una strada tutta in salita per arrivare al successo. Lo stesso Stéphane ebbe a dire in tempi... non sospetti, che la Federazione nazionale ha dormito, non trovando (perché non li ha nemmeno cercati) i fondi necessari per costruire un centro nazionale di formazione, nel quale raggruppare i migliori talenti facendoli allenare con tecnici di grande spessore. Lo stesso Lambiel, nell’immediato dopo carriera, non è nemmeno stato avvicinato dalla Federazione. Avrebbe fatto ombra a qualcuno.
Qui entra in gioco un’altra considerazione, che forzatamente dobbiamo racchiudere in poche righe nonostante il discorso sia complesso. Il pattinaggio artistico svizzero è orfano di una classe dirigente avveduta già a livello dei club, perché verte su un’organizzazione e su concetti superati, tende a chiudersi su se stesso in un rapporto che diventa incestuoso: sono i papà e le mamme degli atleti a formare i comitati e a diventare presidenti, spesso con un unico obiettivo, quello di fare l’interesse dei propri figli. In troppi casi, i club sono ostaggio di dirigenti divenuti tali per caso e per calcolo, che non possiedono una cultura sportiva ma s’intromettono nelle scelte tecniche dei loro allenatori senza avere le conoscenze di uno sport complesso, direi delicato, fatto di mille sfaccettature. Se vuol risorgere, il pattinaggio artistico deve partire dalla base, aprirsi a gente che sa di sport e spalancare le porte alla competenza.