Nostalgia di un essere supremo

L' EDITORIALE DI CARLO SILINI
Carlo Silini
20.10.2016 06:00

di Carlo Silini - Piccoli atei crescono. La parafrasi del celebre romanzo di Louisa May Alcott («Piccole donne crescono») non è nostra, ma del sociologo italiano Franco Garelli che ha intitolato così il suo ultimo saggio. Il testo è dedicato alle tendenze religiose in Italia e indica che negli ultimi otto anni i giovani non credenti della vicina penisola sono cresciuti di 5 punti percentuali, passando dal 23% del 2007 al 28% del 2015. Una situazione analoga a quella ticinese illustrata nell'ultimo numero della rivista Dati dell'Ufficio cantonale di statistica (ne abbiamo riferito a pag. 8 nell'edizione del 18 ottobre). Da noi, infatti, nelle classi di età tra i 15 e i 24 anni e tra i 25 e i 39, «solo» il 75% delle persone si dichiara religiosa. Ergo, il 25%, una su quattro, non lo è. In termini assoluti, cioè prendendo in considerazione tutte le fasce d'età, l'aumento in pochi anni di chi non crede è impressionante. Si è passati dal 5,2% del 1990 al 17,1% del 2014 (ultimo dato disponibile sul territorio ticinese).
Il quesito è ovvio: stiamo inesorabilmente diventando «miscredenti», come si diceva non senza una punta di sommesso sdegno nel recente passato? I nostri figli e nipoti, al contrario di quanto è successo a noi, saranno adulti in una società del tutto secolarizzata?
La legge dei piani inclinati, sperimentata da Galileo, ci dice che maggiore è l'inclinazione di un piano, più la palla che gli si mette sopra corre veloce e si avvicina alla caduta libera. A giudicare dalle statistiche, quindi, la caduta libera della pratica religiosa sembra vicinissima. Ma è davvero così?
La fine delle religioni dietro l'angolo è una profezia strombazzata in pompa magna dalle massime menti filosofiche almeno dai tempi dell'Illuminismo. Non si è mai realizzata. Potremmo anche sbagliarci ma, veggenza per veggenza, non si realizzerà mai.
Prima di tutto, ciò che vale in Occidente ci riguarda in prima persona, ma in termini quantitativi rappresenta un fenomeno minoritario sul piano globale. La stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta, infatti, continua a vivere dentro una visione religiosa dell'esistenza. Noi siamo sempre più agnostici, il resto del mondo no. Non a caso, una delle ragioni per cui non godiamo di grandi consensi fuori dai confini è quella che per gli altri è incomprensibile e blasfema la pretesa di fare a meno di Dio. Oggi, in una sorta di atroce nemesi storica, i kamikaze di altre culture innescano i loro giubbotti esplosivi gridando l'equivalente contemporaneo del nostro medievale «Dio lo vuole». Dio vuole, intendono dire, che muoia chi non vuole Dio (o un dio diverso dal loro): noi, appunto, quei tipi strani e pericolosi che non riconoscono una legge superiore a quella degli uomini.
In secondo luogo dobbiamo disfarci dell'illusione dello statu quo. Una volta, a buttare all'aria le sicurezze dei confini ci pensavano le guerre. Oggi lo fanno le pressioni migratorie. Possiamo innalzare tutti i reticoli di filo spinato che vogliamo lungo i confini, ma a lungo termine il rimescolamento delle razze – che avvenga sotto forma di virtuoso melting pot, o di insidioso conflitto tra etnie e culture – è ineluttabile. Il nostro agnosticismo, presto o tardi, dovrà fondersi con le credenze di chi verrà a vivere accanto a noi. Portando i figli che non facciamo più e le idee che vengono da altri mondi.
Infine, l'assioma ideologico secondo il quale più avanza il progresso scientifico, meno c'è bisogno di un essere supremo per spiegare il mondo, vale fino a un certo punto. Ci sono domande di senso a cui la scienza non è e non sarà mai in grado di rispondere. Se si vogliono azzardare risposte minimamente convincenti a problemi come il dolore degli innocenti, o il significato della vita che viviamo e della morte che ci aspetta, è necessario porsi in un orizzonte che superi la meccanica della materia e le leggi della fisica o della chimica.
Altrimenti, più della non credenza, si rafforzeranno nuove religioni nascoste sotto laicissime spoglie. Come la religione del mercato, di cui si sente spesso parlare ma che richiederebbe spazi più ampi di quelli di un editoriale. O la religione della scienza, che per alcuni è diventata l'alternativa di senso assoluto che riempie il vuoto di un Dio che non c'è più. Sei amorevole? Violento? Infedele? Credi o non credi nella vita oltre la vita? Se ci avete fatto caso si pretende di spiegare tutto con il DNA, le tempeste chimiche dentro il cervello, l'algoritmo. Si cerca di inquadrare la libertà dello spirito e delle coscienze dentro parametri da laboratorio. È un determinismo molto più rigido di quello dei credo tradizionali: siamo quello che siamo e facciamo quello che facciamo per dogmi tutti interni alla materia che ci compone. Le religioni hanno molti limiti. Il più grave, probabilmente, è la distanza tra i precetti predicati e quelli praticati. Ma di fronte al vuoto che lasciano e ai goffi tentativi di riempirlo, ce n'è abbastanza per avere ancora parecchia nostalgia di Dio.

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