Onore e vergogna

Penso a quel che succede in Iran, l’antica Persia, e mi viene da vergognarmi per coloro che in quel paese dalla grande storia hanno istituito un corpo di polizia morale religiosa che si occupa di proteggere i «valori islamici» attraverso censura e repressione, mentre dovrebbe vergognarsi chi tali pratiche sostiene ed esercita. Io mi ricordo di quando il governo autoritario dello scià Reza Pahlavi, in cui regnavano corruzione, inflazione e disoccupazione, venne rovesciato da un movimento rivoluzionario che ne accusava la politica filooccidentale. Mi ricordo quando, dopo la cacciata dello scià, si insediò nel 1979 il regime della Repubblica islamica, molto diverso da quello che ci si augurava, e presto si capì che quel paese era caduto dalla padella nella brace nonostante la presenta di istituzioni dalla parvenza democratica. Oggi non si riesce a uscire dalla rigidità della Repubblica islamica guidata da anziani religiosi e seguita dalla parte più arretrata del paese, nel quale, tra l’altro, devono essere applicate in maniera intransigente norme di abbigliamento femminile «islamiche». Come uscirne? Forse grazie alla messa in gioco della vergogna e dell’onore? La proposta si ispira a un libro del 2010 del filosofo anglo-ghanese Qwame Anthony Appiah, «Il codice d’onore». Appiah definisce l’onore non soltanto in relazione allo sguardo e al riconoscimento degli altri, ma anche come forma di autorelazione della persona comprendente il riconoscimento e la stima di sé. L’onore interviene secondo Appiah nelle rivoluzioni morali, quando un certo mondo d’onore entra in competizione con un mondo d’onore alternativo. Questo, imponendosi, rende le consuetudini vigenti obsolete, ridicole e oggetto di disprezzo, suscitando imbarazzo e vergogna in chi le osserva. Il cambiamento si rende possibile insomma quando la propria pratica non è più reputata onorevole ma viene percepita, anche grazie allo sguardo dall’esterno, come stato di arretratezza. Importante è la pressione interna dei gruppi più avanzati sulla quale agisca anche l’incoraggiamento esterno. Quindi bene l’appoggio che diamo noi, ma soprattutto bene la critica interna da esercitare fino al punto in cui chi misura il velo o la tonaca si vergognerà di quel che sta facendo. Benché sembri un sentimento arretrato, la vergogna è un ottimo indicatore del fatto che si percepisce di aver commesso un’azione disdicevole grazie anche al giudizio degli altri, purché critico e non compiacente. Alcuni potrebbero iniziare a capire l’assurdità di certi riti e norme, anche in virtù dell’influenza internazionale, e a rendersi conto che tali pratiche provocano la mancanza di rispetto per il loro paese nel resto del mondo, e che disonorano non chi dovrebbe osservare tali misure ma chi le impone.