Ora va meglio, ma occhio ai maxi debiti

L'EDITORIALE DI LINO TERLIZZI
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
18.09.2018 06:00

di LINO TERLIZZI - Una marea di analisi ha accompagnato il decimo anniversario del fallimento della banca americana Lehman Brothers, avvenuto nel settembre 2008. Molti fanno risalire a quel fallimento l'inizio della crisi finanziaria ed economica. In realtà la caduta di Lehman fu uno degli effetti di una crisi che era già iniziata prima negli USA, con l'immobiliare come detonatore. Un indebitamento privato eccessivo, favorito da tassi di interesse bassi e dalla spregiudicatezza di mutui a costi minimi (subprime), è esploso quando i tassi hanno ricominciato a salire ed i prezzi delle case a scendere. Vi è stato poi il contagio in altri rami della finanza e dell'economia, sia perché altrettanto sbagliata fu l'ampia distribuzione in prodotti finanziari di alti rischi collegati all'immobiliare, sia perché le conseguenti cadute dei mercati finanziari ebbero riflessi negativi su banche, imprese, redditi, investimenti, consumi. Dagli USA la crisi si è estesa a livello mondiale. In Europa gli eccessi di debito privato si sono sommati agli eccessi di debito pubblico.

Può sembrare accademica la distinzione tra i due anniversari, quello della crisi e quello di Lehman, ma non è così. È bene indicare le radici reali, tanto più se, come spesso viene proclamato, si vogliono trarre lezioni da quella crisi. Non corrisponde al vero, peraltro, che oggi la situazione sia come dieci anni fa o addirittura peggio. Diciamolo chiaramente, il rischio zero non esiste nella vita e quindi nemmeno in economia. Un'altra crisi, magari non della stessa intensità e non negli stessi rami, potrebbe ancora arrivare in futuro. Ma è un errore negare che alcuni passi avanti siano stati fatti. Nella invocata maggiore regolamentazione, si rischia ora anzi di regolare, talvolta, persino troppo. La società di consulenza Boston Consulting ha censito circa 200 nuove normative nel mondo. Se negli USA adesso l'Amministrazione Trump cerca di snellire nuovamente, in tanti altri Paesi non se ne parla nemmeno. In Svizzera le norme sul «troppo grande per fallire» hanno trovato ampia applicazione, insieme a quelle sui maggiori mezzi propri delle banche. La crisi di UBS, pur dolorosa, è stata superata; i soldi pubblici per il salvataggio, quelli della Confederazione e quelli della Banca nazionale svizzera, sono stati recuperati con interessi e guadagni.

Esistono alcune tensioni nell'immobiliare elvetico, ma la BNS riafferma ogni volta che ha i riflettori accesi sul settore e d'altronde ha stabilito misure di contenimento insieme al Consiglio federale. Non tutto va bene, ma non è come prima. Non è neppur vero che la crescita economica non abbia più ritrovato i livelli di dieci anni fa. Prendendo i dati di Federal Reserve ed Eurostat, "Il Sole 24 Ore" ha indicato che rispetto al 2007 il Prodotto interno lordo (PIL) era a fine 2017 a +15% negli USA, a +11% in Gran Bretagna, a +8% nell'Eurozona, a +5% in Giappone. A livello di singoli Paesi europei ci sono eccezioni, e tra queste l'Italia (-5%), ma ci sono anche rialzi sopra la media come in Germania (+12%) o nella media come in Francia (+8%). La ripresa è stata lenta, ma è arrivata. La Svizzera è tra i Paesi che meglio hanno tenuto dopo la crisi. La disoccupazione resta ancora elevata in molti Paesi, ma almeno è diminuita nella gran parte delle economie. Le banche centrali hanno evitato l'errore degli anni Trenta, quando chiusero i rubinetti e così ampliarono la crisi; hanno giocato bene la prima parte della partita garantendo liquidità, ora siamo largamente nella seconda parte e devono rientrare, perché non si può allagare il locale dopo aver spento l'incendio.

Dei due grandi eccessi principali alla base della crisi – debiti e prodotti finanziari debordanti – il secondo è stato limitato e, per la parte che ancora non lo è, rimane sotto i riflettori. Tra prodotti derivati e finanziamenti diversi da quelli delle banche (shadow banking) ci sono ancora rischi non secondari, ma l'attenzione è maggiore. Sul primo grande eccesso, quello dei debiti, il quadro è più in chiaroscuro. Esistono ancora eccessi nell'indebitamento privato, ma vi sono quantomeno molti più allarmi rispetto a dieci anni fa. Si fa una gran fatica, invece, sul versante dell'indebitamento pubblico, tanto più che l'attuale Amministrazione USA pare proprio non volersi preoccupare del grande debito americano, che sta aumentando. Il Giappone naviga nelle acque del suo maxi debito pubblico. In Europa i Paesi del rigore si battono contro le linee dei Governi che vogliono mantenere o incrementare i già elevati deficit e debiti pubblici. Conti pubblici in chiaro disordine frenano la crescita economica ed espongono interi sistemi Paese a turbolenze dei mercati finanziari. Le cose nel complesso vanno meglio rispetto a dieci anni fa, ma è su quest'ultimo versante che l'allarme resta insufficiente.