La moneta

Perché l’euro c’è ancora, dopo 20 anni

L’editoriale di Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
Lino Terlizzi
22.12.2018 06:00

L’euro potrà registrare nei prossimi giorni un suo record particolare. Nata come unità contabile il primo gennaio del 1999, e poi valuta corrente nel 2002, la moneta unica celebrerà i suoi 20 anni il primo giorno del 2019. Ma, soprattutto, potrà festeggiare a quel punto il primato di valuta oggetto delle più numerose profezie di scomparsa, tutte poi non verificatesi. Praticamente, in nessuno dei 20 anni della sua vita sono mancate previsioni sulla sua caduta. Una concentrazione si è avuta tra il 2010 e il 2011, quando anche alle nostre latitudini ci furono profezie su un’imminente uscita della Germania dall’euro. Sono passati otto anni e questa uscita non si è vista. L’Unione europea e l’Eurozona non hanno ovviamente intenzione di lasciar passare sotto silenzio il ventennale. All’inizio di questo mese la Commissione UE ha ricordato l’importanza dal punto di vista di Bruxelles dei 20 anni dell’euro, riproponendo anche l’obiettivo di lungo periodo di un ruolo maggiore della moneta unica in settori strategici, tra i quali quelli dell’energia e dell’aviazione, dove nei pagamenti domina ancora il dollaro ma dove l’Eurozona ha una posizione di rilievo. Ma, al di là degli obiettivi pur legittimi dell’area euro, quello che importa è capire le ragioni per cui la moneta unica non sia uscita di scena e anzi i suoi membri siano passati da 12 a 19. Il punto centrale è che sull’euro si sono raccolte le pur diverse esigenze di Paesi del Nord e del Sud Europa. La Germania e il Nord avevano e hanno l’esigenza di potenziare un mercato unico integrato e di non dover più fronteggiare gli effetti negativi delle svalutazioni di monete deboli come la lira italiana, la peseta spagnola, l’escudo portoghese, etc. L’Italia, la Spagna e altri Paesi del Sud avevano e hanno l’esigenza di una maggiore stabilità valutaria, con l’effetto importante di avere anche minore inflazione e più bassi tassi di interesse, oltre che di un graduale risanamento dei conti pubblici. Lo scambio era ed è questo, in sintesi: il Nord usufruisce della maggiore stabilità e del mercato integrato, garantendo l’ombrello valutario e interventi di salvataggio nel caso; il Sud usufruisce pure della stabilità e del mercato integrato, garantendo da parte sua il progressivo riassetto dei bilanci pubblici in disordine. La costruzione dell’euro non è ideale, perché la Banca centrale europea opera su tanti e diversi Stati, questo è talmente ovvio che è anche inutile ripeterlo. La domanda più interessante è come l’euro nonostante tutto sia andato avanti. La risposta sta in questo scambio di fondo tra Nord e Sud Europa, unito a un fattore più globale: molti Paesi europei si rendono conto che, di fronte al peso di USA, Cina e altre potenze economiche, un mercato integrato e una moneta condivisa possono essere vantaggi, se giocati per il verso giusto, nella competizione internazionale. L’accordo che è alla base dell’euro è stato più volte messo a dura prova. La Germania e il Nord hanno attuato i salvataggi (di Paesi del Sud, come la Grecia, ma anche del Nord, come l’Irlanda), ma il percorso non è stato semplice. La Francia ha appoggiato la Germania negli snodi decisivi ma non sempre è andata alla velocità prevista. I Paesi del Sud, in particolare l’Italia e la Grecia, più volte non hanno rispettato gli impegni presi sulla riduzione di debito e deficit pubblici. Eppure, l’euro non è scomparso. L’affermazione secondo cui la Germania e il Nord hanno tratto vantaggio dall’euro è incompleta. È vero che i Paesi del Nord hanno avuto vantaggi, pur se non sono mancati problemi per loro. Ma è anche vero che il Sud ha avuto vantaggi. Secondo l’FMI, la Spagna tra il 2000 e il 2009 ha avuto una media di crescita economica del 2,7%, il Portogallo dello 0,9%; l’Italia ha avuto una crescita media più bassa, dello 0,5%. E anche tra il 2010 e il 2017 l’Italia ha avuto una crescita media minore della Spagna e del Portogallo. Se l’euro fosse il problema e avesse svantaggiato i Paesi del Sud, allora anche Madrid e Lisbona avrebbero dovuto registrate le medie di Roma o Atene. È evidente che l’Italia, pur Paese fondatore dell’UE e potenza economica, di suo non ha affrontato alcuni problemi di fondo, tra i quali quello degli oneri dell’ampio debito pubblico. Ciò è vero anche per la Grecia, che ha grande storia ma potenza economica non è. La Svizzera non ha la necessità di aderire all’euro. Ma anche alle latitudini elvetiche è importante cercare di capire le ragioni della persistenza dell’euro, che è poi la moneta di buona parte dei suoi partner commerciali principali. L’esplosione dell’euro sarebbe un’alternativa migliore? C’è davvero da dubitarne, per via dell’instabilità che colpirebbe anche l’economia elvetica e che farebbe impennare ancor più un franco che già di suo tende a essere troppo forte. Comunque bisogna prendere atto che l’euro, imperfetto ma ventenne, come si vede c’è ancora.