Personale sanitario, il peso del contesto

«Il film scioccante sugli infermieri oberati di lavoro che sta suscitando allarme in tutta Europa». Il titolo è del Guardian. Martedì scorso il quotidiano britannico ha, in effetti, dedicato un lungo articolo al film «Heldin», della regista svizzera Petra Volpe. Presentato in anteprima al Festival di Berlino a febbraio, è da pochi giorni su Netflix, con sottotitoli anche in italiano. Riassumendo, tutto gira attorno a un turno in ospedale - un ospedale svizzero - dell’infermiera Flora Lind, la quale si ritrova, da sola, in seguito all’assenza improvvisa di una collega, ad affrontare le richieste e le esigenze dei pazienti di un reparto di chirurgia oncologica. Il film si trasforma presto in una sorta di thriller psicologico, anche perché gli impegni di Flora incalzano, al punto da diventare, a tratti, quasi ingestibili.
Le recensioni non sono state unanimi. La NZZ lo ha ritenuto poco realistico, mentre le associazioni del settore lo hanno accolto tra gli applausi. Ma non è questo il punto. Il punto è un altro e si lega alla realtà, quella snocciolata, in pillole e in cifre, alla fine del film stesso. Il settore sociosanitario, anche in Svizzera, è sotto pressione. E tenendo conto del costante invecchiamento della popolazione, si presenta la necessità di trovare risposte a domande molto chiare a livello di personale mancante.
Come evidenziato da un recente studio dell’Ufficio cantonale di statistica (Ustat), «se si fa astrazione della componente migratoria e di quella frontaliera, capaci di attutire la carenza di personale sanitario e di cura in Ticino, il marcato invecchiamento della popolazione e della forza lavoro porteranno nei prossimi decenni a un mancato ricambio di professioniste e professionisti, fenomeno particolarmente pronunciato nel settore composto per la maggioranza da personale femminile».
In questo senso, il Cantone è già attivo. Lo evidenzia, oggi, in un nostro servizio, lo stesso direttore generale dell’Ente ospedaliero cantonale. Glauco Martinetti conferma quanto mostrato dallo studio dell’Ustat appena citato: aumenta in maniera «importante» il numero di persone formate in Ticino nel settore infermieristico. Insomma, ci si sta preparando a sopperire a una mancanza. Ma basterà? Molto dipenderà anche dal contingente di personale formato oltre i confini nazionali, tra frontalieri e immigrati. In Italia si parla ancora di fuga di medici e di infermieri - in particolare dalla Lombardia - verso il Ticino. Al punto che l’Azienda sociosanitaria territoriale di Como si è vista costretta a richiamare medici in pensione per rispondere alle proprie esigenze. Tra chi ha in effetti risposto all’appello, anche un cardiologo di 78 anni. Qualcuno, intervistato dalla Provincia, ha giustificato la propria disponibilità richiamando in causa il giuramento di Ippocrate. «Se c’è bisogno d’aiuto continuerò a fare il medico finché avrò le forze», ha detto un geriatra 73.enne. Il quale ha poi aggiunto: «Il problema della nostra sanità però è grave, mancano i giovani e chi può scappa all’estero». Anche e soprattutto in Svizzera.
Questo al netto delle discussioni attorno alla tassa sulla salute, che vanno precisandosi attorno a una norma che - nonostante la sua introduzione risalga al 2023 - ancora non era stata sin qui applicata. Ognuno, insomma, prova a garantirsi un futuro in uno dei settori più delicati, in cui gli aspetti umani, personali, restano prevalenti rispetto a quelli burocratici. In questo senso, per abbassare ulteriormente l’ingombro delle faccende di routine, potrà avere un ruolo anche l’intelligenza artificiale. Sarà un sostegno, certo, ma non la soluzione. In un recente testo apparso nel sito dell’Associazione svizzera infermiere e infermieri si sottolinea: «È fondamentale che, sia l’assistenza infermieristica, sia le persone assistite, traggano un beneficio tangibile dalla digitalizzazione». La categoria si dice pronta ad affrontare anche questa trasformazione, sapendo che tali strumenti non potranno mai sostituirsi a quelli che sono gli aspetti di cura ai pazienti e di vicinanza ai loro famigliari.
Il pregio di «Heldin» - ancora in corsa, nel terzetto svizzero, verso gli Oscar - non è tanto quello di aver spaventato l’Europa, come ha sottolineato il Guardian, bensì di aver portato in primo piano, in un prodotto di fiction, il mestiere dell’infermiera. Non i primari, non i medici, ma le infermiere, umanizzandole al punto da portarle a sbroccare, a sbuffare, a sbagliare. L’errore causato dalla fatica non è la regola, non è la prospettiva, resta però un rischio. Come recita il titolo del libro che ha ispirato la stessa Petra Volpe, «il problema non è la professione, sono le circostanze».