Pfister riparte con chiari segnali

Il 26 febbraio, in un periodo già burrascoso per il DDPS, la Svizzera si era scoperta «orfana» dei tre principali posti chiave della Difesa. Una fuga di notizie aveva rivelato che nei giorni successivi alle dimissioni di Viola Amherd (metà gennaio) avevano deciso di lasciare anche il capo dell’esercito Thomas Süssli e quello dei Servizi informativi della Confederazione Christian Dussey. Un problema ma anche un’opportunità per il nuovo «ministro» della Difesa Martin Pfister, messo in condizione di poter scegliere persone di sua fiducia.
Un vero vuoto non c’è mai stato, ma ora che le due posizioni più importanti alle spalle del consigliere federale sono state occupate ci sono buone premesse per ripartire. Subito dopo l’entrata in carica (avvenuta il 1. aprile), Pfister aveva dato un segnale importante, nominando una commissione cerca del futuro capo dell’Intelligence. Pfister avrebbe potuto fare diversamente, visto che Dussey aveva dato la disponibilità a restare fino al 31 marzo del 2026, mentre per Süssli il termine era stato fissato alla fine dell’anno. Ma ha preferito agire senza indugio, dimostrando di capire dove stanno le priorità a livello di nomine. Il Servizio delle attività informative della Confederazione, di fatto la prima linea di difesa del Paese, è da almeno due anni in una fase di intensa riorganizzazione. Mancano risorse e i sondaggi sulla soddisfazione del personale hanno evidenziato lacune e problemi nei processi di lavoro, nella direzione, nella coesione e pure nell’attuazione della riforma interna.
Molte critiche sono giunte anche dai Cantoni. Anticipando la partenza di Dussey, e mettendo ai comandi del SIC sin dal 1. novembre il successore Serge Bavaud, Pfister ha dato un segnale forte. Fondamentale, oltre alla capacità di risolvere i problemi interni, sarà la credibilità del nuovo capo agli occhi dei servizi dei Paesi partner, dai quali la Svizzera dipende sempre di più per la ricerca di informazioni. Bavaud, a suo tempo definito da Le Temps il «Mister crisi» della Confederazione (fra le altre cose ha diretto il Centro di gestione delle crisi del DFAE), colonnello dell’esercito con studi di leadership ad Harvard, sembra avere tutte le carte in regola per dirigere un settore che da tempo naviga in acque agitate a livello di personale dirigente. Lo stesso predecessore di Dussey, Jean-Philippe Gaudin, era stato congedato nel 2021 per divergenze con Amherd. Il fatto che ancora una volta il SIC debba ricorrere a una persona esterna è eloquente. Bavaud ha già detto chiaramente quali sono le sue priorità: promuovere la cooperazione con i Cantoni, migliorare la situazione del personale (va ricordato che secondo l’autorità di vigilanza l’insoddisfazione dei collaboratori potrebbe costituire una minaccia per la sicurezza interna) e consolidare i rapporti con i partner esteri.
Giunge dall’interno (e anche questo è un segnale), invece, il nuovo capo dell’esercito Benedikt Roos, classico ufficiale di carriera. L’attuale capo delle Forze terrestri ha un profilo molto diverso da Thomas Süssli, che aveva alle spalle un lunga esperienza nell’economia privata. L’eredità che raccoglie è pesante, in un momento in cui l’esercito, oltre a fare fronte a problemi di fiducia e credibilità, deve anche compiere chiare scelte di priorità su come difendere il Paese e rispondere alle nuove minacce. Il compito principale per ristabilire fiducia e credibilità spetta al capo del DDPS, ma Roos dovrà essere una spalla fondamentale, anche alla luce della fase di forte incertezza in cui si trova ad operare la politica di sicurezza. Le riconosciute capacità di condotta e la considerazione di cui gode nell’esercito sono per Roos un buon viatico per rimettere ordine internamente. Il nuovo capo ha fatto capire di essere sul pezzo. Alludendo probabilmente alla questione dei droni da ricognizione, ha detto che bisogna dedicare più tempo alla gestione iniziale dei progetti di armamento (alcuni dei quali oggi rappresentano un punto dolente). Ma Roos dovrà trovare il registro giusto anche e soprattutto nei rapporti con la politica, dalle quale dipendono questioni cruciali come il finanziamento dell’esercito (non si sa ancora se e come verrà rispettato l’obiettivo dell’1% del PIL entro il 2032), l’equipaggiamento delle truppe (oggi insufficiente) e il mantenimento di un effettivo adeguato. Le sfide sono tante, le aspettative pure.