Pier Felice Barchi, liberalone e uomo di potere

IL COMMENTO DI FABIO PONTIGGIA
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
20.08.2018 06:00

di FABIO PONTIGGIA - Un altro grande vecchio della politica ticinese ci ha lasciati. Il Ticino a poco a poco resta orfano della generazione di leader che aveva traghettato il Paese attraverso i sussulti del Sessantotto, i conformismi e le mode – belle e brutte – degli anni Settanta, la riscoperta dei valori liberali negli anni Ottanta, su su fino al patatrac indotto dalla Lega. Una lunga stagione politica di cambiamenti, tensioni, scontri, sbandamenti che molto probabilmente, senza quei leader, emersi e affermatisi in tutte le tre grandi aree di pensiero (la liberale, la cattolica, la socialista), avrebbe impedito al Ticino di fare i progressi ragguardevoli che sono invece parte della sua storia. Tutti leader con due qualità oggi molto rare: una solidissima cultura; un'intelligenza politica decisamente sopra la media. Due atout che hanno permesso di trasformare le tensioni ideologiche e i contrasti personali, non di rado molto duri e anche spietati, in una dialettica produttrice di sintesi e portatrice di risultati positivi per l'intera società. Pier Felice Barchi è stato uno degli interpreti più acuti e arcigni di questo modo di essere in politica. Senza sminuire – tutt'altro – il suo lavoro a Berna, lo è stato soprattutto nel ruolo di presidente del Partito liberale radicale ticinese. Un decennio (dal 1978 al 1988) durante il quale le cosiddette due anime del partitone hanno duellato quasi quotidianamente, forti anche dei rispettivi giornali di riferimento («Il Dovere» e «Gazzetta Ticinese»). La cronaca di quel decennio è fatta di memorabili congressi del PLRT, autentici campi di battaglia con le truppe dei tenori schierate sull'uno e sull'altro fronte, preventivamente e adeguatamente istruite e preparate, pronte ad avanzare o a ripiegare a seconda dell'andamento dei lavori. Pier Felice Barchi ne è sempre stato l'abile (e furbo) governatore. Dopo ore di discussioni e votazioni, il più delle volte il suo largo sorriso, beffardo e nello stesso tempo pacioso, decretava con appagato e soddisfatto orgoglio la fine delle ostilità, congedando delegati e simpatizzanti che lasciavano la sala pienamente fiduciosi nella forza e nel primato del partitone. Poco importa se il governatore di quelle adunate non sempre vestisse i panni dell'arbitro equidistante. Anche nel pendere più da una parte che dell'altra Barchi restava maestro di strategia e di tattica. Non si ricordano sue clamorose défaillance congressuali. Resta memorabile una sua battuta liquidatoria – suggellata dal sorrisone – all'indirizzo del capofila di una delle due anime: «Tu fai l'incendiario al mattino e il pompiere nel pomeriggio». Disarmante. Come visione politica del mondo, Pier Felice Barchi era un liberalone. Fautore della libertà economica, della concorrenza, della proprietà, di uno Stato presente ma non invadente, del primato dell'individuo, con i suoi diritti ma anche con le sue responsabilità, aveva la capacità di travasare questa sua visione in articoli scritti in uno stile sorprendentemente moderno, chiaro, diretto, concreto. Sapeva tatticheggiare, quando le circostanze lo richiedevano, e fare affondi decisivi, quando l'obiettivo era per lui irrinunciabile. Il suo liberalismo forte era temperato da una spiccata apertura alle istanze sociali, consapevole, Barchi, che il proclamato interclassismo del PLRT dovesse trovare riscontri effettivi nell'azione politica, pena la spaccatura e la perdita del primato. Liberalone, dunque, non deve apparire termine irriguardoso. Al contrario, la forma accrescitiva è la più deferente nei confronti della personalità di Pier Felice Barchi. Che è stato, nel senso pieno della parola, uomo di potere. Con tutto ciò che questo implica, di positivo e di meno positivo. Ogni moralismo sarebbe tuttavia fuori luogo. Nemmeno nella piccola realtà cantonticinese l'esercizio del potere è materia per educande. Fondamentale è che sia accompagnato da cultura e intelligenza, argini insommergibili nell'alveo delle regole stabilite dalle leggi. Sotto questo profilo – lo si è detto – l'avvocato Barchi era in una botte di ferro. Ha saputo interpretare alla grande anche il momento del cambiamento, quando verso la fine degli anni Ottanta, in piena moda linguistica della «perestrojka» gorbacioviana, ha ceduto il timone del PLRT a Fulvio Pelli. Ha evitato la squallida stagione della politica fatta con i tweet. Ma non c'è dubbio che con la sua cultura e la sua intelligenza avrebbe dato filo da torcere anche ai più compulsivi tecnosmanettoni.