Pierluigi Tami e un Ticino che va sempre di moda

Aveva tentato l’avventura nel calcio «vero». Quello dei club, lontano anni luce dalla bambagia che avvolge(va) l’Associazione svizzera di football. Cercava una botta di adrenalina, Pierluigi Tami. È tornato al punto di partenza, riabbracciato come un figliol prodigo dalla Federazione elvetica dopo gli anni belli ma complicati al Grasshopper e la quasi stagione a Lugano. Ha stupito, incantato, a tratti perfino esaltato con il suo calcio tutto bollicine e possesso palla; parallelamente è stato criticato, ha sbagliato, ha vissuto costantemente sotto stress e sotto pressione finendo – in una sorta di circolo vizioso – per commettere altri errori. Può darsi che Pierluigi Tami fosse un diamante troppo bello e brillante per quel tipo di pallone. Un incompreso, per certi versi. E allora meglio rifugiarsi lì, dove la sua avventura in panchina aveva spiccato il volo e dove – al di là di come andò per il dopo Hitzfeld – è sempre stato amato, apprezzato, finanche coccolato.
Tami è tornato a casa, mettiamola così. Con ruoli, mansioni e obiettivi differenti rispetto al passato. Non vivrà il campo nel senso stretto della parola, né dovrà essere visto come un antagonista di Vladimir Petkovic. Sarà un super manager alla Oliver Bierhoff sebbene – tecnicamente parlando – sostituirà Claudio Sulser che ricopriva il ruolo di delegato alle squadre nazionali. Una designazione quest’ultima vecchia e stantia, superata dagli eventi ad immagine di quanto successo (e non successo) durante e dopo i Mondiali russi.
A quasi 58 anni, «Pier» aveva bisogno di un porto sicuro ma allo stesso tempo di un incarico stimolante e diverso. Sarà dirigente, direttore sportivo, collante. Di più, le sue amicizie e i suoi buoni rapporti con i vari club e allenatori sparsi sul territorio europeo permetteranno alla Svizzera di essere meglio rappresentata. Se caso anche difesa. Non solo: Tami contribuirà alla strategia di comunicazione della Federazione. Ergo, non dovremmo più assistere a pasticciacci alla Behrami.
Ha vinto, allargando il discorso, il Ticino. Un cantone ultra rappresentato a Muri: Cavin, Petkovic, Foletti, Lustrinelli alla guida della Under 21. Per tacere di Mangiarratti e Vanetta ora allo Young Boys campione in carica ma svezzati dall’Associazione svizzera di football. Il «Blick» a suo tempo aveva criticato questa presenza massiccia e (forse) Tami non era il nome più gradito dal foglio zurighese. Al di là degli steccati e dello sciovinismo che spesso orientano la stampa oltre San Gottardo, è quantomeno singolare che una Federazione punti con insistenza sulla «ticinesità» per la nazionale maggiore e la Under 21 maschili. Le locomotive del movimento, volendo citare l’ex presidente Peter Gilliéron. E chissà se al quadretto un domani si aggiungeranno anche i calciatori ticinesi. Molto, in questo senso, dipenderà dalle politiche e dalle strategie che adotterà il Football Club Lugano.