Pussy Riot, il pugno di ferro

Gerardo Morina
Gerardo Morina
21.08.2012 06:00

di GERARDO MORINA - Con la condanna, venerdì scorso, a due anni di carcere per le tre ragazze appartenenti al collettivo punk russo Pussy Riot il tribunale di Mosca, in accordo con le alte sfere politiche e religiose del Paese, ha voluto infliggere una pena «esemplare». I fatti dicono che lo scorso febbraio le tre ragazze si sono introdotte nella Cattedrale di Cristo Salvatore, tempio della Chiesa ortodossa russa a Mosca e, dopo essersi fatte il segno della croce, hanno cercato di mettere insieme una canzone-preghiera in cui chiedevano la rimozione dello stesso Putin. In meno di un minuto le ragazze sono state bloccate, arrestate e poi incarcerate in attesa del processo in cui sono poi state condannate per «teppismo motivato da odio religioso».Oltre a suscitare solidarietà nell?opposizione russa e internazionale, l?esibizione ha guadagnato loro però anche l?ostilità di una parte della società del Paese, che vi ha riscontrato un?offesa alla propria sensibilità religiosa, ritenendo che ognuno abbia diritto di criticare pubblicamente Il Patriarcato di Mosca, ma non in chiesa. Una sentenza esemplare, si è detto,non solo perché tipica di una condanna che deve servire da esempio, ma soprattutto perché il reato di cui si sono macchiate le Pussy Riot è stato trasformato all?esterno nel simbolo di un diritto alla libera espressione. Di fronte a questo processo il presidente russo si è trovato a un bivio: il dovere, secondo un suo punto di vista, di non apparire debole di fronte alla popolazione e, nel contempo, la necessità di non sottovalutare la numerose critiche internazionali. Biasimato da chi considera la pena non commisurata al reato commesso, a guadagnarci potrebbe essere in definitiva lo stesso Putin, essenzialmente per tre motivi. La storia delle Pussy Riot potrebbe giocare a vantaggio delle autorità al potere, privando il movimento di opposizione della sua componente più moderata (famiglie e pensionati) e di quella più attiva (i nazionalisti). Il presidente russo spera di conseguenza di ricevere sostegni dall?elettorato più conservatore e tradizionalista, mentre le critiche internazionali suscitate dal caso potrebbero avvicinare a Putin quelle fasce della società russa profondamente diffidenti di ogni voce che venga dall?Occidente. Detto questo, rimangono da considerare le caratteristiche di fondo che il caso delle Pussy Riot ha fatto emergere in tutta la loro chiarezza (e drammaticità). Innanzi tutto, l?iconoclastia di cui, secondo la sentenza, si sono rese colpevoli le tre ragazze non è solamente politica (ai danni di Putin) ma anche religiosa, nel senso che, attraverso gli slogan del movimento punk, viene messa in risalto la stretta connivenza oggi esistente tra Chiesa ortodossa e potere politico, con una Chiesa che, riprendendo le tradizioni zariste, si propone come ingranaggio del meccanismo statale. In presenza di un neo-zar come Putin, il primate ortodosso Cirillo I definisce il presidente «il miracolo compiuto da Dio», mentre a sua volta Putin non manca di ricordare che «lo Stato deve molto alla Chiesa». Il risultato: un reciproco,fraterno appoggio.Ma ancora di più, il caso Pussy Riot evidenzia il dissenso serpeggiante in una parte della popolazione russa che rifiuta Putin e i suoi metodi, denuncia, quando è il caso, brogli elettorali e chiede maggiori libertà. Finora il pugno di ferro adottato dal presidente si è basato su una miscela di autoritarismo e paternalismo. Ma fino a quando, occorre chiedersi, a Putin verrà permessa la congenita incapacità di entrare in contatto diretto con quella parte della società del Paese affamata di aperture, desiderosa di partecipazione e risoluta nel difendere i propri diritti, tra cui quello di critica?