Tennis club

Quando basta soffiare sulle dita per sentirsi un «top 10»

Simulare le abitudini dei campioni o delle campionesse ci fa sentire un po’ come loro
Roger Federer applaude sulle corde della sua racchetta. (Foto Keystone)
Massimo Solari
05.07.2019 06:00

Sedere-spalla sinistra-spalla destra-naso-orecchio sinistro-ancora naso-orecchio destro... FAULT! E via ancora con ritmo: sedere-spalla sinistra-spalla destra-naso-orecchio sinistro-ancora naso-orecchio destro... No, non la coreografia di un nuovo ballo di gruppo. Sarebbe anche stagione, ma la sequenza in questione va in scena un po’ tutto l’anno e non a bordo piscina. C’è chi lo ritiene un rito scaramantico, chi una serie di tic maniacali. Parliamo della fase di preparazione al servizio di Rafael Nadal. Un meticoloso concentrato di gesti che «Macarena» e «Mueve la colita» scansatevi. Nel 2007 a Wimbledon Robin Söderling, tra la disperazione e la provocazione, si mise a imitare i comportamenti alla battuta del maiorchino. Rafa, ça va sans dire, non la prese bene. Eppure è proprio lo spirito di emulazione a rendere il tennis uno sport terribilmente trasversale e dall’ascendente quasi paragonabile al calcio. Una predisposizione interiore che l’avvento di Roger Federer (e dei suoi interminabili successi) non ha fatto che amplificare all’ennesima potenza. Chi più chi meno, tutti noi appassionati aspiriamo infatti a diventare discepoli del Maestro. E la relativa semplicità della pratica tennistica contribuisce ad alimentare le nostre illusioni quando quella volta o due all’anno decidiamo di scendere in campo dopo il lavoro. Per dirla con il Papu Gomez – e i suoi presunti addominali alla Cristiano Ronaldo al mare – «non noto differenze». Suvvia, non nascondiamolo: simulare le abitudini dei campioni o delle campionesse preferiti ci fa sentire un po’ come loro. E ciò nonostante questi gesti non si giustifichino minimamente durante le nostre apparizioni al limite dell’indecoroso. Personalmente, e senza peccare di modestia, reputo di avere un talento spiccato in tal senso. Sul piano dell’imitazione possiedo un repertorio piuttosto vasto e sono certo che anche molti di voi potrebbero far parte di questo speciale club. Partiamo da un classico. Sotto di tre game a zero e dopo l’ennesimo diritto finito in corridoio (quello del ristorante dietro al terreno da gioco) ecco la prima sceneggiata: «Sarà sicuramente un problema di corde» mentiamo a noi stessi, tentando di sistemare a caso la cosiddetta «anima della racchetta». Peccato che il modello di seconda mano e la rigidità pazzesca del materiale dopo più di dieci anni passati in cantina non permettano alle corde di avere spostamenti anche solo millimetrici. Vabbè, «fa molto professionista», continuiamo a dirci. Esempio numero 2. È il momento di servire. Uno, due palleggi e poi eccola là: la soffiata sulle dita... Ma perché?! È inizio novembre, i campi al coperto erano tutti riservati, e il termometro segna 10 gradi. Per noi moderni Fantozzi e Filini – «batti lei?» – c’è ben poco da sudare o avere le mani madide. A maggior ragione se durante gli scambi il nostro raggio d’azione è di appena un paio di metri e la salita al «net» rappresenta solo una meta di pellegrinaggio. Il gesto però è da giocatore top 10, oder? Per tacere del patetico esame delle palline prima di servire. Regaliamo doppi falli come se piovesse e nel tubo che abbiamo portato al campo – comprato nell’estate del 2003 dopo la prima vittoria di Roger a Londra – ogni pallina è oramai di una marca e di una tonalità diverse: cosa pensiamo di dimostrare? E a chi poi, dal momento che la nostra partitella non se la fila nessuno? Insomma, anche qui, mossa totalmente inutile, seppur apparentemente a effetto. Così come particolarmente «cool» – o «cul» vista la parte anatomica interessata – è ricevere la battuta dell’avversario allargando il più possibile le gambe e, un po’ alla Djokovic, procedendo a un vistoso movimento di schiena, bacino e sedere. Pure in questi casi tuttavia l’unico colpo possibile è quello della strega.

L’elenco potrebbe proseguire, ma preferiamo fermarci con la classica racchettata sul malleolo cercando di sollevare la pallina insieme al tacco oppure provando a colpire a ripetizione la base delle scarpette (dettaglio: la superficie di gioco non è la terra rossa). Sì ma – emulazione o no – alla fine com’è andata l’ultima partita? Vi chiederete giustamente. Volete saperlo davvero? Ho perso da mio padre, 28 anni più anziano del sottoscritto. Io però facevo Federer.