Referendum da brivido per l'Italia

Matteo Renzi.
Osvaldo Migotto
19.11.2016 06:00

di OSVALDO MIGOTTO - L'Italia torna a far parlare di sé all'estero, e purtroppo non si tratta di un fatto di cui rallegrarsi. Lo scontro infuocato in corso ormai da mesi nel Paese, in vista del referendum sulla riforma costituzionale previsto per il prossimo 4 dicembre, non è sfuggito ai più attenti analisti politici ed economici internazionali.

Il «Wall Street Journal», ad esempio, ha appena scritto che «dopo Brexit e Donald Trump, gli investitori si concentrano ora sull'Italia» per decidere come posizionarsi di fronte a quello che potrebbe essere un altro «evento politico in grado di far tremare i mercati e di capovolgere la politica». L'interesse a livello internazionale per le vicende politiche italiane è cresciuto soprattutto nelle ultime settimane; ossia da quando i sondaggi hanno iniziato a dare in progressiva crescita il fronte del no nel referendum deciso dal Governo Renzi.

Il premier italiano che per mesi si era vantato di «metterci la faccia» in questa battaglia per «ammodernare il Paese» con una riforma costituzionale in grado, a suo dire, di ridurre i costi della politica e al tempo stesso di accelerare l'iter legislativo, quando ha avuto sentore di una possibile sconfitta nel voto popolare, ha fatto retromarcia. All'improvviso il presidente del Consiglio italiano ha così annunciato che il referendum non era un voto a favore o contro il suo operato. Ma la frittata ormai era fatta. Le opposizioni infatti, considerati i risultati modesti dell'Esecutivo sul fronte del rilancio economico ed occupazionale, hanno pensato bene di cogliere l'occasione del referendum per cercare di far cadere il Governo in carica. Mettere un no nell'urna il prossimo 4 dicembre «per respingere la riforma e per mandare a casa Renzi» è diventato così uno degli slogan più usati dai leader delle opposizioni.

Gli ultimi sondaggi, per quanto possano valere (viste le recenti smentite dalle urne in Gran Bretagna in occasione del voto sulla Brexit e negli Stati Uniti nelle recenti elezioni presidenziali), danno il fronte del no in vantaggio. Ma il premier davanti ai giornalisti si mostra ottimista e ricorda che gli indecisi sono ancora tanti. La scelta in effetti, non è delle più semplici. Da una parte i cittadini sono bombardati dagli slogan della maggioranza di Governo che insiste sul fatto che l'Italia attende da trent'anni una riforma costituzionale in grado di rendere il Paese più moderno e competitivo, e se si perderà quest'occasione ci vorranno anni prima che il mondo politico riesca a partorirne un'altra. Sul fronte opposto le opposizioni di destra e di sinistra sottolineano limiti e contraddizioni del progetto Renzi.

L'elenco delle critiche è lunghissimo. Si parte dalla denuncia di una perdita di potere di popolo e Legislativo a beneficio dell'Esecutivo, fino ad arrivare ad accusare la maggioranza di aver messo in piedi un castello di regole del gioco estremamente complesse; in particolare per quel che riguarda le competenze e i rapporti tra la Camera e il nuovo Senato. In Italia sono in molti a riconoscere che la riforma portata avanti dall'Esecutivo avrebbe potuto essere più semplice e incisiva. Perché ad esempio non ridurre anche il numero dei deputati oltre a quello dei senatori? Perché non tagliare i lauti compensi di quei parlamentari che si presentano in aula solo occasionalmente? Di suggerimenti, durante la stesura degli articoli della riforma, ne sono arrivati tanti, sia da destra che da sinistra. Ma Renzi, forte di una salda maggioranza in Parlamento, ha quasi sempre voluto fare di testa sua. Anche quando gli si chiedeva il mantenimento del voto popolare per l'elezione del nuovo Senato. Da «rottamatore», il giovane premier a un certo punto ha dovuto trasformarsi in «costruttore».

E nel Bel Paese c'è tanto da costruire e ricostruire. Per farlo bene bisognerebbe ascoltare non sempre, ma almeno alcune volte, cosa dice chi la pensa diversamente. Ora è un po' tardi per cambiare rotta e il leader del PD può solo sperare di trarre vantaggio dalle profonde spaccature presenti nel centrodestra. Se vincesse il no e il Governo cadesse, il referendum potrebbe disegnare un futuro da brivido per l'Italia, con il ritorno dell'era dell'instabilità politica.