Remo Pullica, il gigante buono

Il romanzo che racconta la carriera sportiva di Remo Pullica va oltre gli aspetti legati alla figura di un calciatore-gentiluomo, che nel momento della scomparsa viene ricordato da tutti come un difensore esemplarmente corretto. Andando a rileggere i giornali dell’epoca in cui Pullica giocava in Ticino, dapprima a Locarno, in Prima divisione, quindi nel grande Lugano degli anni Sessanta, quello che conquistò la Coppa svizzera e contese il titolo a Zurigo e Grasshopper fino allo spareggio nella stagione 1967/68, si scoprirà anche tutto un altro modo di vivere e raccontare lo sport.
Negli anni in cui Remo Pullica spadroneggiava dentro le aree di rigore (a volte anche in quella degli avversari), chi scrive era un bambino infatuato dalle gesta dei bianconeri e soprattutto da alcuni di loro, il portiere Mario Prosperi, «Atom» Otto Luttrop, Simonetto Simonetti, Vincenzo Brenna...
Quello spilungone di Pullica, in coppia con Adriano Coduri detto «Nano», rappresentava l’ultimo baluardo difensivo della squadra, l’ultima diga a difesa di un portiere chiamato sovente a metterci molto di suo per mantenere inviolata la propria porta, o per limitare ai danni collaterali il passaggio a vuoto di qualche compagno o il gesto tecnico degli avversari. Remo era un difensore che badava al sodo: tecnicamente era limitato dalle sue lunghe leve, che gli impedivano di essere agile e scattante, ma in compenso poteva far valere un fisico d’acciaio, capace di scoraggiare tutti gli attaccanti nelle situazioni di uno contro uno da fermo. E quando poi c’era da duellare nel gioco aereo, contro il suo fisico non ce n’era per nessuno.
Solo da adulto, diventato uno dei tanti portatore di cronache sportive, seppi del passato di Remo Pullica, che in gioventù aveva addirittura fatto parte della nazionale olimpica azzurra (era originario di Carpi). Ora, Pullica approdò inizialmente a Locarno, in Prima divisione, e solo dopo alcuni campionati, nell’estate del 1964, fece il grande salto in LNA passando dalle rive del Verbano a quelle del Ceresio, in cambio di ben tre bianconeri. Evidentemente la parola scouting all’epoca era sconosciuta e forse alla dirigenza luganese sarà servita l’amichevole disputata contro il Milan a Cornaredo, nella tarda primavera del 1964, per scoprire il talento di questo lungagnone che aveva vestito per tre partite di prova (una contro il Lugano) la maglia dei rossoneri, senza peraltro riuscire a strappare un contratto e senza che nessun giornalista dell’epoca desse minimo risalto al fatto. Capitasse oggi, scorrerebbero fiumi di inchiostro e si scatenerebbero i social.
Ho letto che Pullica avrebbe disputato la stagione 1963/64 col Milan: se fosse passato di proprietà ai rossoneri non saprei, di sicuro il difensore giocò quella stagione con la maglia del Locarno e non col Milan, basta aprire gli archivi per averne una conferma nelle cronache di allora.
Se la vittoria nella Coppa svizzera del 1968 fu il momento più esaltante della sua carriera, nello stesso anno Remo Pullica commetterà l’errore che lo tormenterà poi per tutta la vita, quel passaggio appena accennato verso Coduri, intercettato da Fritz Künzli che battendo Prosperi all’89’ permise allo Zurigo di ipotecare il successo in campionato e mise fine a 20 mesi di imbattibilità casalinga bianconera. Remo Pullica metabolizzò quel tormento con eleganza e umiltà nel corso degli anni, qualche volta ne parlava pure, una macchia lavata via con un atto di fede incondizionata nei confronti della società bianconera, nella quale è stato attivo come allenatore del settore giovanile per tantissimi anni e un fervente sostenitore sino alla fine dei suoi giorni.