Il commento

Rischiare tutto in nome del sapere

Leggi il commento di Giona Carcano sul lancio del telescopio spaziale James Webb (JWST)
Il James Webb Space Telescope è pronto al lancio. ©NASA/Chris Gunn
Giona Carcano
23.12.2021 06:00

Guardare oltre le stelle e le galassie, spingersi dove mai l’uomo è riuscito a scrutare, fin quasi all’inizio del tempo e dell’universo. Ci sono voluti venticinque anni di lavoro, oltre dieci miliardi di dollari, migliaia di scienziati che hanno speso le loro carriere per progettare, costruire, testare e assemblare il James Webb Space Telescope (JWST). Un gioiello tecnologico frutto di una sfida che ha pochi eguali: il programma Apollo, lo Space shuttle, la Stazione spaziale internazionale. Il nuovo strumento – che verrà lanciato nei prossimi giorni – sarà il successore di Hubble. Il nostro compagno lassù nello spazio che in oltre trent’anni di attività ci ha regalato (e ci regalerà ancora) delle immagini di straordinaria bellezza, come i famosissimi Pilastri della creazione o il campo ultra profondo, capace di far emergere dall’oscurità 10.000 giovani galassie da una minuscola porzione di cielo. Ma oltre alla maestosità estetica, Hubble ha permesso di scoprire un punto centrale nelle leggi fisiche che governano il cosmo: anziché decelerare sotto l’influenza della gravità, come si credeva fino a quel momento, l’espansione dell’universo sta accelerando. Una scoperta che ha cambiato completamente la nostra visione del futuro. Del tipo: l’universo non finirà ritirandosi in un unico punto, bensì – forse – espandendosi all’infinito, fino a quando ogni corpo celeste sarà disperso a distanze inimmaginabili l’uno dall’altro.

Eppure, dobbiamo ammetterlo: conosciamo ancora pochissimo dell’universo, e quella briciola di sapere ci costa un’infinità di risorse umane e finanziarie. Tanto che qualcuno potrebbe dire che sì, l’esplorazione dell’universo è bella ma è uno sport per ricchi al pari del polo. Perché, invece, non ci concentriamo solo sui problemi che affliggono la cara e vecchia Terra? Un’obiezione che non tiene conto di cosa ci raccontano questo tipo di imprese spaziali. Non bisogna infatti limitarsi a guardare l’obiettivo finale di un programma simile. Ma anche il percorso per arrivarci. Un percorso che spinge l’uomo a superarsi, a scoprire nuove tecnologie, a dare il meglio di sé in ogni campo scientifico. Il JWST, ancora prima di lasciare il pianeta per sempre, ha regalato al mondo alcune innovazioni di largo consumo. La tecnologia usata per la costruzione degli specchi del telescopio, ad esempio, oggi è contenuta nei nostri smartphone e nei nostri computer. Ma non solo. Questa scoperta ha permesso, sotto altre forme, lo sviluppo di un avanzato sistema di diagnosi delle malattie oculari.

I programmi internazionali – al JWST hanno partecipato numerosi Paesi e oltre 300 partner accademici e commerciali, anche svizzeri – hanno dunque il potere di elevare le conoscenze umane, fungendo da trampolino tecnologico. L’unione del sapere porta a nuovo sapere, e il tutto in nome di una sfida dal destino assolutamente incerto. Il lancio è stato posticipato già tre volte per problemi tecnici e di maltempo, ma il peggio arriverà dopo la messa in orbita. «Coloro che non sono preoccupati o addirittura terrorizzati dalle sfide che la missione JWST deve affrontare non stanno capendo cosa stiamo cercando di fare», ha detto non a caso Thomas Zurbuchen, astrofisico svizzero a capo del progetto. A partire dal lancio e fino al completo dispiegamento dello specchio del telescopio (racchiuso come una crisalide all’interno di una capsula posta in cima al vettore) ci sono oltre 340 possibili punti di fallimento. Basta un solo malfunzionamento nella sequenza per bruciare 25 anni di lavoro e di ricerche.

Rischi enormi quindi, pari solo alle aspettative nei confronti di un progetto rivoluzionario. Rischi che ogni scienziato conosce fin troppo bene. Eppure, non bisogna cadere nella trappola di applicare un prezzo al coraggio della conoscenza, anche a costo di fallire, di sbagliare. Perché nell’immediato futuro, l’uomo potrebbe infatti saperne di più sull’origine dell’universo, sulla sua stessa origine, o addirittura individuare il Sacro Graal delle missioni spaziali: tracce di vita. E nessun bene materiale può ostacolare la voglia dell’uomo di abbracciare il senso più profondo dietro a questi enormi progetti: conoscere se stesso.