Svizzera

Sanità pubblica e privata, una ricchezza per i pazienti

L’opinione di Giancarlo Dillena, presidente dell’Associazione cliniche private ticinesi
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Giancarlo Dillena
Giancarlo Dillena
20.03.2021 06:00

La scorsa settimana il Tg di France 2 (emittente pubblica) riferiva che i posti in cure intense negli ospedali pubblici francesi sono di nuovo vicini alla saturazione. In queste condizioni, sottolineava il servizio, si guarda ora come ad una vera àncora di salvezza all’importante riserva di posti offerta dal settore privato – che ha prontamente dato la sua disponibilità a fare il necessario.

Se perfino la voce ufficiale di un Paese statalista e centralista come la Francia riconosce il ruolo del settore privato, qualche cosa vuol dire. In Svizzera il principio del sistema duale pubblico-privato è riconosciuto e affermato dalla legge. La quale chiede allo Stato (in questo caso ai Cantoni) di rispettarlo con rigore, ad esempio nella pianificazione, come ribadito ancora di recente dal Tribunale federale. Ma se il principio, alla base della qualità generale del sistema ospedaliero nel nostro Paese, è chiaro ai giudici – e ai molti pazienti che possono così liberamente scegliere a chi rivolgersi – lo è un po’ meno nei corridoi delle strutture sanitarie pubbliche. I cui dirigenti sembrano vivere la «concorrenza» dei privati con malcelato fastidio. Ed anche con un pizzico di timore. Lo si deduce da certe dichiarazioni ascoltate ancora di recente, in cui si arriva a sottolineare l’esigenza, da parte dell’ospedale pubblico, di «presidiare» un determinato territorio, per evitare che «i pazienti vadano altrove» (cioè nel privato). Attenti al lupo, insomma! Un linguaggio da «stato d’assedio», poco «fair» e poco consono alla situazione, che vede il settore pubblico in una posizione nettamente predominante. Ma tant’è. Gli «enti» statali e parastatali che operano in questo cantone sembrano tutti affetti dalla stessa malattia: la percezione come una minaccia della presenza di attori privati in ambiti di cui vorrebbero tanto avere il quasi monopolio (con il «quasi» possibilmente ridotto al minimo). È stato così, per chi ha buona memoria, quando l’ipotesi di dare un piccolo aiuto a qualche scuola privata ha provocato una mobilitazione generale «in difesa della scuola pubblica» degna dei tempi del generale Guisan, come se l’apparato scolastico statale fosse esposto davvero al rischio di distruzione. Da direttore di giornale ho ritrovato un’analoga dinamica nel mondo dei media, dove la sproporzione di mezzi tra l’ente radiotelevisivo «di servizio pubblico» e i media privati balza immediatamente agli occhi. Il che potrebbe far nascere – e ha fatto nascere – molti interrogativi sugli equilibri imposti da questo regime, in un ambito così delicato per la formazione della pubblica opinione. In effetti c’è mancato poco che dalle urne uscisse un risultato contrario all’assetto esistente. In ambito ospedaliero questa dinamica è presente da tempo. Al punto che, al momento della nomina del nuovo direttore dell’EOC, qualcuno ha ritenuto opportuno manifestare pubblicamente un disappunto (vagamente intimidatorio) per la scelta di un manager proveniente dall’industria privata. Nel nome, naturalmente, della «difesa del servizio pubblico».

Credo che questa lettura, che riflette lo statalismo ad oltranza che alcuni vorrebbero imporre in Ticino, sia distorta e fuorviante. La realtà è che la co-presenza di ospedali pubblici e cliniche private di qualità sullo stesso territorio costituisce una ricchezza, nell’interesse dei cittadini e della qualità delle cure cui possono far capo. E anche una giusta competizione, se adeguatamente regolata dallo Stato quale arbitro neutrale (come ricordato dai giudici di Losanna), rappresenta un elemento dinamico importante, che spinge costantemente i vari attori a migliorarsi. Ma anche – si è visto bene in questo travagliato periodo di pandemia – a collaborare attivamente quando l’emergenza lo impone. In tempi normali, con altre esigenze e priorità, certe formule non sarebbero più giustificate. Ma un clima di dialogo franco, aperto e costruttivo fra pubblico e privato è non solo certamente possibile ma auspicabile. Mettendo da parte preclusioni ideologiche, gelosie personali, nonché frecciatine e altre amenità di cui potremmo volentieri fare a meno. Pubblico e privato hanno statuti e problemi diversi, ma devono comunque convergere verso l’obiettivo comune di offrire le migliori cure possibili alla popolazione. Sullo sfondo di una realtà che cambia rapidamente, che impone scelte a volte difficili, che lascia sempre meno margine all’errore e allo spreco di risorse e di tempo. Abbiamo tutti troppi temi che attendono di essere affrontati seriamente per perderci in meschine guerricciole locali.