Se i bottoni e le asole sono spaiati

L'EDITORIALE DI FABIO PONTIGGIA SUL POLVERONE RIMBORSI
Fabio Pontiggia
Fabio Pontiggia
14.03.2018 06:00

di FABIO PONTIGGIA - Al compianto consigliere di Stato Claudio Generali stava a cuore una citazione dal «Candelaio», l'irriverente commedia teatrale di Giordano Bruno, scritta a Parigi nell'estate del 1582: «Chi falla in appuntar primo bottone, né mezzani né l'ultimo indovina». Vale a dire: chi sbaglia ad allacciare il primo bottone, poi non ne azzecca più nemmeno uno. È esattamente quanto successo nell'incredibile polemica relativa ai rimborsi delle spese sostenute dai consiglieri di Stato nell'eserizio della loro funzione. Un'autentica farsa politica - lo ribadiamo per l'ennesima volta - per la quale ieri pomeriggio in Gran Consiglio è stato recitato un nuovo atto (purtroppo non l'ultimo, come invece sarebbe stato auspicabile).

Lasciata fortunatamente cadere l'idea di istituire una commissione parlamentare d'inchiesta (che ci avrebbe ridicolizzati agli occhi di politici e osservatori di altri cantoni), bocciata la strampalata proposta di fare opposizione al secondo decreto d'abbandono emesso dal procuratore generale John Noseda, i deputati non hanno trovato il modo di chiudere una partita che si trascina penosamente per la sola gloria mediatica del deputato del Movimento per il socialismo Matteo Pronzini. Il tutto è nato dalla totale disattenzione con cui il Parlamento, istituzione cui è affidata l'alta vigilanza sul Consiglio di Stato, ha affrontato negli anni anni la questione dei rimborsi, salvo fare la voce grossa a rimorchio della polemica pronziniana e succube del disfattismo istituzionale che oggi ammorba il clima politico.

Giova ripeterlo, affinché il cittadino, comprensibilmente sconcertato e magari anche indignato o perfino sospettoso, non si lasci ingannare da chi infanga le istituzioni: i rimborsi spese dei nostri ministri sono dettagliatamente disciplinati da quasi 19 anni, e cioè fin dall'approvazione del «Regolamento interno sui diritti di carica del consigliere di Stato» messo a punto con il supporto dell'allora consulente giuridico del Governo e da quest'ultimo approvato con la nota a protocollo del 17 maggio 1999. In quel regolamento era elencato tutto ciò di cui si è parlato, spesso a vanvera, in queste ultime settimane (uso della vettura, parcheggio, abbonamento FFS, spese telefoniche, PC portatile, lettere e cartoline d'augurio, rimborso forfetario di 15'000 franchi annui, omaggi, salario pieno dell'ultimo mese, due mensilità supplementari, dono di fine mandato per un valore massimo di 10 mila franchi, estensione di tali diritti al cancelliere dello Stato, con importo forfetario limitato a 5'000 franchi).

Quel regolamento non solo era conosciuto dal Parlamento fin dalla primavera del 2000, ma era addirittura di dominio pubblico in quanto inserito nei verbali del Gran Consiglio dello stesso anno. I verbali sono un documento accessibile a tutti: chiunque può consultarli su internet e stamparne copia senza alcuna formalità. Nel 2000 era stato sollevato un polverone negli stessi termini di quello attuale. Il Parlamento aveva bocciato una infondata proposta di risarcimento avanzata dalla sinistra e chiesto un adeguamento della legge, proposto dal Governo nel 2001 e approvato dal Legislativo, con colpevole ritardo, solo nel 2005. Da allora la legge sugli onorari dei consiglieri di Stato prevede che l'elenco delle spese rimborsate e l'importo dei forfait sia sottoposto dal Governo all'Ufficio presidenziale del Gran Consiglio per approvazione.

Nessuno ha fatto i compiti (puramente formali) fino al 2011, quando l'elenco modificato è stato in parte approvato con la procedura prevista. Tutto è di nuovo caduto nel dimenticatoio. Le spese rimborsate ai consiglieri di Stato e al cancelliere sono comunque state sempre, ogni anno, votate dalla Commissione della gestione e dal Gran Consiglio in sede di preventivo e di consuntivo. Nessuno ha rubato nulla, nessuno ha intascato nulla senza l'avallo parlamentare (resta solo il dubbio sul cumulo stipendio/pensione del cancelliere nei due mesi supplementari).

Poi, ad un certo punto, Pronzini è tornato alla carica con il copia-e-incolla della proposta del 2000. I deputati dei vari gruppi si sono acriticamente accodati, senza nemmeno premurarsi di andare a documentarsi su cosa fosse stato già discusso e votato in passato. Facebook, Twitter e i vari blog hanno fatto il resto. Il secondo decreto d'abbandono del pg Noseda ha evidenziato molto bene le inadempienze (formali) del Parlamento, reiteratamente avvertito dal Controllo cantonale delle finanze e/o informato dal Governo sulla necessità (formale) dell'approvazione da parte dell'Ufficio presidenziale rispettivamente sulle spese rimborsate, fin dal maggio 2011, poi nel settembre 2012, nel maggio 2013, ancora nel settembre 2015 e nel marzo 2017.

Addirittura lo stesso deputato Pronzini, il 17 febbraio 2014, cioè ben quattro anni fa, aveva presentato un'iniziativa che proponeva di trasferire al Gran Consiglio il compito di votare l'elenco delle spese rimborsate e il loro importo. Di questa iniziativa si è occupata la Commissione della gestione nel 2015, quando è stato introdotto l'obbligo per i consiglieri di Stato di contribuire al finanziamento della pensione, perché la legge modificata è la stessa. Nessuno ha però eccepito nulla sui rimborsi. Fare oggi le anime candide, dopo aver latitato con così manifesta superficialità nella vigilanza, è davvero una farsa. Le stoccatine dell'Ufficio presidenziale al procuratore Noseda, le imbarazzanti (e imbarazzate) «conclusioni intermedie» della Sottocommissione finanze, le stucchevoli bordate del consigliere di Stato Zali allo stesso pg, l'errore della segreteria del Gran Consiglio sulle schede di voto, sono le nuove e indecorose pagine di una polemica inconsistente. Tutti bottoni spaiati dalle loro asole. E ciò che si vede non è bello.

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