Se i robot ci mangiano l'anima

di CARLO SILINI - È difficile decidere quale fra i due scenari futuristici presentati nel primo piano di oggi curato da Mariella Delfanti (leggi i servizi alle pagine 2 e 3) metta più a disagio. Da una parte abbiamo infatti uno studioso, Mark O'Connell, che esamina criticamente le mirabolanti promesse scientifiche dei cosiddetti «transumanisti». Il transumanesimo è una corrente di pensiero secondo la quale fra venti o trent'anni sarà possibile trasferire su un supporto elettronico i meccanismi di base del cervello umano. Il futuro della specie – sostengono i suoi paladini – comporterà un abbandono in massa dei nostri corpi biologici permettendo alla pura intelligenza di propagarsi per tutto l'universo. Arduo cogliere sino in fondo le conseguenze di questa dottrina, che si vuole schiettamente scientifica ma in realtà assomiglia a una nuova religione che promette paradisi in terra. Sappiamo solo che, se davvero tutto questo sarà possibile, prima o poi potremo scaricare i contenuti della mente in un computer, in una chiavetta USB o in un microchip. Per i transumanisti si tratta di una prospettiva altamente auspicabile perché («venghino signori, venghino!») ci permetterà «di ampliare le nostre potenzialità cerebrali, ci trasformerà in esseri più intelligenti ed efficienti e ci farà vivere molto più a lungo». Amen. Promesse vertiginose quanto vaghe. Cosa faremo con il microchip della mente del bisnonno? Lo impianteremo su un pupazzo meccanizzato che gli somiglia come un gemello, scambieremo con lui due battute e berremo insieme il Merlot facendo finta che sia ancora vivo? Ma no, ci direbbero forse i transumanisti: prima di morire il bisononno lo congeliamo (che detto così è brutto, la parola giusta è criogenesi, ma è la stessa cosa) e non appena la medicina sarà in grado di curare le sue malattie – magari fra dieci anni – lo scongeliamo e gli reimpiantiamo il microchip nella mente e avanti così nei secoli dei secoli. Magari funziona davvero e, seduti in un archivio, fra duecento anni rileggerete questo articolo scuotendo la testa dopo essere stati congelati e scongelati per tre o quattro volte. Questo gioco del piccolo ingegnere informatico che smonta e assembla i contenuti del cervello ci ricorda un po' troppo Frankenstein perché possa davvero piacerci. Tu puoi anche prendere il contenuto del mio cervello e travasarlo in un robot che fra un secolo ragionerà come, e anzi molto meglio di me. Ma quel robot sarò ancora io? Dove sarà la mia vera mente o, per chi ci crede, la mia anima? Dentro un supporto elettronico che ne riproduce i meccanismi neurologici o perduto nel grande mare dell'essere o del non essere che tutti ci attende? Sarebbe questo il modo in cui sconfiggeremo la morte? L'altro scenario è meno fantascientifico, ma per certi versi più inquietante. Perché, pur restando anch'esso nel campo delle pure ipotesi, non è affatto di là da venire. Sta già avvenendo, stando a Franklin Foer, autore di un saggio su «I nuovi poteri forti». Che non sono i prezzolati politici del G8, i burattinai del WTO, gli squali di Wall Street, le lobby di Bruxelles, i nani di Zurigo, i grigi invitati del Gruppo Bilderberg o gli oscuri signori del complotto demopluto-giudaico-massonico, bensì i sorridenti creatori di Google, Apple, Facebook e Amazon (riassunte nell'acronimo GAFA). L'analisi di Foer è sottile e apocalittica. Occhio, ci dice in pratica, che a toglierci la libertà non sono tanto i leader del mercato vestiti da Armani, ma i nerd occhialuti di Silicon Valley in calzoncini corti e t-shirt cinesi. La loro colpa è di spingerci a delegare il nostro pensiero agli algoritmi, che significa poi delegarlo alle aziende che li producono. La cosa funziona più o meno così: l'algoritmo decide cosa ci interessa e cosa no, sia dal punto di vista pubblicitario sia informativo. Anche le fake news nascono da qui: uno crea una finta notizia, la immette nel sistema, poi la fa girare su Facebook. Appena la bufala si mette a correre e i clic si moltiplicano, l'algoritmo della pubblicità di Internet esplode e GoogleAdWords paga: più clic ci sono, più soldi si incassano. Questa è la fonte a cui molti si abbeverano credendo di informarsi. Certo, l'agoritmo può anche essere usato in modo sano per trasmettere più efficacemente informazioni che altrimenti non verrebbero lette, come cercano di fare i siti di news seri. Resta il timore che il GAFA stia realizzando simbolicamente oggi ciò che i transumanisti immaginano di poter fare un domani fisicamente: il travaso del cervello nel computer (che pensa già per noi). Dio o il Fato ci conservino le tecnologie, strumenti formidabili di scienza e conoscenza. Anzi: le migliorino. Se possibile, però, senza che ci mangino prima il corpo e poi l'anima (o viceversa).