Simulazioni di guerra in Oriente

di GERARDO MORINA - Washington li chiama «War Games», giochi di guerra, ad indicare non certo il loro aspetto ludico, ma di fedele simulazione. Tuttavia, per la potenza di fuoco delle armi e dei mezzi coinvolti (200 aerei e venti navi, tra cui la portaerei a propulsione nucleare USS Washington) e per il numero di uomini impiegati (8.000 soldati USA e sud-coreani oltre a osservatori giapponesi), le manovre militari congiunte Stati Uniti – Corea del Sud iniziate domenica nel Mar del Giappone sono talmente imponenti da aver provocato le reazioni di Pyongyang, che si è detta pronta ad una «guerra santa» e minaccia un attacco atomico contro gli «imperialisti USA» e i suoi alleati. Per la politica estera americana la Corea del Nord (che già possiede l?arma nucleare) rappresenta la seconda grande sfida – per non dire ossessione – dopo l?Iran (Paese che l?atomica è in grado di farsela). In questo secondo caso gli sforzi di Washington sono riusciti, ma solo di recente, a mobilitare anche la Russia che ha accettato di firmare una risoluzione ONU volta a imporre nuove sanzioni contro Teheran. Per la Corea del Nord la situazione è più complicata perché Pyongyang e il regime di Kim Jong-il continuano a ricevere il sostegno incondizionato della Cina, in base ad uno strettissimo e vicendevole rapporto di interdipendenza. È infatti risaputo che la Cina rappresenta per la Corea del Nord il più importante alleato, il maggiore partner commerciale, nonché la fonte principale di approvvigionamento di cibo, armi ed energia. Aiutando Pyongyang, Pechino allontana inoltre l?incubo che deriverebbe da un collasso del regime nordcoreano, eventualità che aprirebbe le dighe di un flusso incontrollabile di rifugiati lungo la frontiera di mille chilometri che separa la Cina dalla Corea del Nord. E tale è ancora il legame tra i due Paesi che la Cina non ha esitato ad intervenire per rendere vaga la condanna da parte del Consiglio di Sicurezza ONU del misterioso affondamento nel marzo scorso della corvetta sud-coreana Cheonan in cui morirono 46 marinai. Un?inchiesta internazionale ha stabilito che a compiere la strage è stato un siluro nord-coreano, ma nessuna accusa è stata mossa in sede ONU contro Pyongyang. Un assurdo, ritengono Washington e Seul, legato all?atto di guerra più grave dall?armistizio del 1953 tra le due Coree e per il quale sono state richieste, finora invano, le scuse formali nordcoreane.Gli Stati Uniti hanno così deciso di passare alle vie di fatto. La recente visita del Segretario di Stato USA Hillary Clinton e del Segretario alla Difesa Robert Gates alla zona demilitarizzata che divide in due la penisola coreana dal 1953 è stata seguita dall?annuncio da parte di Washington di nuove sanzioni unilaterali contro Pyongyang, mirate, questa volta, a strangolare i traffici illeciti di droga, di merce di contrabbando e di denaro sporco impiegati dal regime nordcoreano per finanziare il proprio programma nucleare e per distribuire favori all?élite politica del Paese. L?amministrazione Obama pare avere tutte le intenzioni di far salire la tensione, nella speranza di indebolire il governo di Pyongyang e agendo anche sul fatto che il «caro leader» Kim Jong-il, dalla salute sempre più precaria, si trova nel bel mezzo di una sofferta crisi di successione, come ha dimostrato la decisione di nominare lo scorso maggio come suo vice Jang Song-taek, cognato e presunto «tutore» del successore in pectore di Kim, il figlio Jong-un.Le esercitazioni navali intervengono poi di proposito non soltanto a sottolineare il pieno appoggio che Washington intende dare alla Corea del Sud ma a fornire una esibizione di forza alla vigilia della conferenza sulla sicurezza regionale nel sudest asiatico che inizierà venerdì in Vietnam. Kim Jong-il non è nuovo alle provocazioni e più volte ha lanciato missili di lunga gittata per ottenere una reazione occidentale. Che cosa il «caro leader» intenda fare in questa circostanza è ancora incerto, ma da parte americana ci si attende che possa anche fermarsi ad una semplice guerra di parole. Nello stesso tempo gli Stati Uniti mandano avanti le manovre navali calibrandole per dimostrare la loro potenza, ma senza farle apparire come atti del tutto provocatori. Perché i fini di Washington rimangono fondamentalmente due. Il primo è di lasciare aperto uno spiraglio affinché Pyongyang sia indotta a tornare al tavolo del negoziato a sei sul disarmo nucleare. Il secondo, ancora più rilevante, è di coinvolgere in questo processo la Cina, la quale mira a non perdere lo status di unico interlocutore accreditato presso il regime di Kim Jong-il. In altre parole Pechino potrebbe essere così decisiva nella marcia USA contro Pyongyang come Mosca si è dimostrata nell?offensiva condotta contro Teheran. Per questo Washington dovrà usare ogni accortezza per non esasperare Pechino, che vede le attuali esercitazioni navali come di «gente che russa vicino al nostro letto». Non a caso, di fronte alle rimostranze cinesi, Stati Uniti e Corea del Sud hanno deciso di spostare le loro manovre congiunte dal Mar Giallo (ad ovest della Corea del Sud, acque che Pechino considera sulla soglia di casa) verso nord-est, nel Mar del Giappone, un bacino quasi circoscritto di fronte alle due Coree e che gode del vantaggio della vicinanza di più basi USA.