Situazioni, momenti, figure

Solleviamo la speranza

La rubrica di Salvatore Maria Fares
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Salvatore Maria Fares
Salvatore Maria Fares
04.03.2021 21:26

Preso da un famoso film, «Il cammino della speranza» potrebbe essere il titolo per il tempo che viviamo e dovremo attraversare dopo la tragica e triste esperienza globale che stiamo ancora subendo. Tutti gli opinionisti ormai ne scrivono, dalle firme più illustri ai blog casalinghi in rete, i quali ormai fanno parte del ventaglio delle informazioni, spesso fatte di stentoree affermazioni e di sfoghi non fondati su indagini sociologiche. Ricordando un vecchio proverbio si potrebbe dire che se «l’occasione fa l’uomo ladro» oggi la sciagura fa l’uomo saccente. Purtroppo la condizione di disagio collettivo induce molti, troppi, ad esprimersi senza scientificità e solo con l’emozione. Ognuno aspira a una Laurea honoris causa in medicina, in farmacologia o in sociologia? E’ dimenticato purtroppo il vecchio detto: «Sutor ne ultra crepidam», ovvero «calzolaio non andare oltre la ciabatta», che il maggior pittore dell’antichità, Apelle, disse a un fabbricante di sandali che gli aveva fatto notare un errore nei calzari che aveva ritratto. Apelle corresse il dipinto ma il calzolaio gli fece notare che anche il ginocchio non era perfetto. E l’artista lo zittì così. In dialetto lombardo si dice invece «Ofelè fa el to mesté».

C’è desiderio di conoscere e capire quanto stiamo vivendo ma c’è anche un sovrapporsi di informazioni che fluttuando e modificandosi di giorno in giorno ci confondono. E, a quanto mi dice uno specialista attendibile, il continuo flusso televisivo di siringhe e di lettini rianimatori scava il solco delle paure nell’inconscio, non solo in anziani e maturi ma anche nei giovani, che poi hanno sfoghi preoccupanti. Questo sembra che sia un aspetto trascurato e occorrerebbe un flusso anche di immagini confortanti e rassicuranti. Se capita di scanalare alla tv ci si imbatte in salotti, isolotti e palchi in cui la bellezza e l’artificio si mescolano fra grida sovrapposte e sciocchezze a premi. Autorevoli opinionisti si alternano in tv ma purtroppo sempre sullo stesso tema. Per ore. Parallelamente, come ho già scritto, troppe emittenti invece di confortare diffondono da mesi i film più terrificanti. Il male nelle trame a quanto pare piace. È un argomento che meriterebbe però un’attenzione più accurata. Le sovrabbondanti immagini di crudezza alimentano la paura di chi vive in disparte, se non in isolamento. L’ignoto è un palcoscenico su cui si susseguono ipotesi e riflessi di momenti difficili che moltissimi hanno attraversato.

Ho riletto con amarezza alcune pagine di un romanzo che fece storia, nel quale il suo autore, Premio Nobel, racconta condizioni che abbiamo appena vissuto e stiamo vivendo: «La peste», di Albert Camus. Stati d’animo dolorosi e amarezze circondano anche i nostri giorni tutti uguali. È vero che le chiusure forzate hanno contribuito a ridurre la pandemia ma è altrettanto vero che la solitudine ha diffuso mali intimi molto oscuri. Il sole sorge ancora e i prati fioriti e gli alberi ingemmati risollevano la speranza. Un vaccino contro una malattia si può trovare ma un vaccino contro i mali che opprimo lo spirito sta soprattutto nella solidarietà e nella prudente vicinanza fra gli umani. Il sole illumina, il tempo porta ritrovati e speranze purché restino sovrani la prudenza e il senso di responsabilità civica. È vero che la meteorologia sa prevedere temporali ma non c’è un sistema di previsione sanitaria. Sorge nell’ingenuità una innocente e legittima domanda che ho colto, manifestata o velata, in tanti: oltre ai piani di difesa e di tutele in caso di guerre, perché non si era arrivati a piani di difesa psicologica in ipotetiche catastrofi sanitarie? È un invito a rispondere rivolto a chi ne ha o dovrebbe averne le competenze. È stato comunque preferibile come estremo rimedio il piano di chiusure, purché limitato nel tempo allo stretto necessario, non fino al limite della pandemia spirituale e morale.

Occorrerà per il futuro un progetto anti catastrofe dell’animo, affinché, come ho già scritto, le città e le periferie non diventino immagini di pittori surreali dove l’uomo è solo l’impronta della storia. Passato il terrore, a bocce ferme occorrerà che in base alle nostre risorse tecnico scientifiche si studino sistemi difensivi in cui psicofarmaci e domicilio coatto siano un grigio ricordo. È una speranza? No, deve essere una realtà. Menti e mezzi li abbiamo. La speranza ci avvolge ma va resa concreta. Non sono uno scienziato ma un semplice osservatore e anche col sole vedo ancora le nubi.