L'editoriale

Sui dazi i toni restano alti, ma si spera sempre in accordo con Trump

L'Unione europea e la Svizzera cercano un'intesa in vista della scadenza dell'ultimatum del primo di agosto. Nel frattempo Bruxelles prepara le contromisure su un elenco di prodotti statunitensi per un valore di 93 miliardi di euro
©Michael Probst
Generoso Chiaradonna
24.07.2025 06:00

Lo slogan elettorale di Donald Trump era – e rimane – “America First”. Da quando è tornato alla Casa Bianca, non ha perso occasione per ribadire la centralità degli Stati Uniti rispetto agli interessi delle altre economie. I dazi commerciali, o meglio la minaccia di aumentarli in misura significativa, rappresentano per alcuni un mezzo controverso per riequilibrare i conti con l’estero, sbilanciati a favore delle economie esportatrici come quella cinese ed europea. Per altri, sono uno strumento negoziale aggressivo per ottenere condizioni favorevoli per la manifattura statunitense, aggirando istituzioni internazionali come l’Organizzazione mondiale del commercio, create per dirimere controversie tra Stati. 

Sul fronte europeo, dopo la prima ondata di tariffe commerciali entrata in vigore il 5 aprile con dazi del 10% su una vasta gamma di prodotti importati negli Stati Uniti, dal prossimo 1° agosto scatteranno nuovi dazi del 30% su tutti i beni originari dell’Unione europea, con eccezioni per prodotti farmaceutici, semiconduttori, aerei e minerali critici. Questa misura, comunicata ufficialmente alla Commissione europea, è ancora oggetto di negoziato e potrebbe subire modifiche in base ai colloqui tra Washington e Bruxelles. L’UE, pur preparando contromisure, ha lasciato aperta la porta a un’intesa entro il 1° agosto. In caso contrario, entreranno in vigore ritorsioni – perlopiù simboliche – su prodotti iconici statunitensi come moto Harley-Davidson, jeans Levi’s e burro di arachidi. Intanto, la Commissione europea ha annunciato di voler unificare le due liste di contro dazi contro gli Stati Uniti, per un totale di 93 miliardi di euro (circa 86,5 miliardi di franchi). Le contromisure, tuttavia, non scatteranno prima del 7 agosto, come precisato da un portavoce, che ha ribadito la priorità del negoziato. 

L’obiettivo principale degli Stati Uniti in questa fase è proteggere i colossi tecnologici da nuove imposte, regolamenti e tariffe. Il recente stop ai negoziati commerciali con il Canada sarebbe legato proprio all’intenzione di Ottawa di introdurre una tassa sui servizi digitali. La successiva retromarcia del governo canadese su questo punto punta a salvare il dialogo bilaterale. 

Parallelamente, Washington ha siglato un accordo con il Giappone che limita al 15% i dazi sul settore automobilistico, che rappresenta circa il 28% dell’export giapponese verso gli USA. Tokyo, in cambio, applicherà tariffe equivalenti su alcune esportazioni statunitensi e si impegnerà a investire fino a 550 miliardi di dollari negli Stati Uniti, oltre ad aumentare le importazioni di prodotti agricoli americani che potrebbe essere replicato con l’Europa. 

Anche la Svizzera auspica di raggiungere un’intesa separata, sul modello di quelle già concluse con Regno Unito e Giappone, per evitare l’impatto delle nuove tariffe commerciali. Resta da chiarire a quale livello si assesteranno i dazi doganali, inizialmente fissati al 30%, e quali contropartite saranno richieste alla Confederazione, che figura tra i principali investitori diretti negli Stati Uniti. Con 143 miliardi di dollari di investimenti, la Svizzera si colloca al settimo posto, superando economie di maggiori dimensioni come quella italiana e cinese. Inoltre, diverse aziende svizzere, in particolare nei settori farmaceutico e tecnologico, hanno annunciato programmi di investimento per ulteriori 200 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni. Basteranno per ristabilire corrette relazioni commerciali con gli Stati Uniti?