Fogli al vento

Tacere e ascoltare

Se le ultime statistiche confermano che il tasso di lettura si sta abbassando ogni anno di un altro po’, soffocato com’è dalle mille ore spese sui mille schermi, è invece stranamente vero che è in forte aumento il numero di quelli che scrivono
Michele Fazioli
Michele Fazioli
01.12.2025 06:00

Uno dei problemi di oggi è che tutti parlano e pochissimi ascoltano. Uno potrebbe subito dirmi a questo punto: ma parla per te, anzi, taci per te. E cosa sarà mai questo tuo articolo se non una ennesima chiacchierata? Giusto, ma io lo scrivo lo stesso perché, peccando io per primo, so bene che la strumentazione tecnica comunicativa di oggi (nel sottobosco paludoso dei social media e nel frastuono dei talk show televisivi) non fa che accentuare la vocazione dell’animo umano a parlar molto ma ad ascoltare poco. E allora voglio riassumervi una storia che mi ha molto colpito. Siamo a Mosca, nel 1886, in una sera d’inverno. Nevica fitto. I cerchi dei lampioni a gas illuminano a tratti il biancore nevoso che appena più in là finisce nel buio. Il vetturino di una slitta con cavallo, imbacuccato, sta immobile a cassetta, sotto i fiocchi. Aspetta i clienti. Dal portone di un ristorante che lascia sprigionare luci e voci esce un signore bene impellicciato, fa un cenno, sale sulla slitta, si avvolge nelle coperte di lana. Il vetturino dopo un po’ attacca discorso, ha voglia di parlare, ha voglia di dire che gli è appena morto un figlio. «Era bravo» dice, «diligente, riusciva bene a scuola. L’ho perduto». Tace un poco, poi riprende a dire la sua pena per il figliolo morto. Il passeggero ascolta per mezzo minuto poi, quasi infastidito, cambia discorso e infine si chiude nel silenzio. Arriva a destinazione, paga, scende. La stessa cosa si ripete più volte, il povero vetturino, sotto la neve che cade inesorabile, tira fuori con ogni cliente la pena profonda che ha nel cuore, lo strazio per il figlio morto. Ma i clienti ricchi, ben nutriti e odorosi di buone cene e di colonia, non ascoltano, sono distratti o addirittura seccati. A notte fonda, quando sotto la neve fitta c’è solo silenzio, il vetturino torna alla stalla, dà la biada al cavallo, gli si siede accanto nel cantuccio caldo e dopo un po’ lo guarda, gli carezza il muso e prende a raccontargli del figlio morto, del suo dolore, con calma. Mansueto, silenzioso, il cavallo ascolta. Il povero uomo si sfoga, sembra quasi un poco consolato. È questa la mia sintesi di un bellissimo racconto breve di Anton Cecov («Angoscia»). Siamo tutti bravi a parlare, parlare, meno ad ascoltare, lo dicevo all’inizio. E d’altronde siamo tutti pronti a lodare chi sa parlare molto bene (in radio e tv, in pubblico, alle cene) e raramente lodiamo quelli che sanno ascoltare molto. Lo stesso sbilanciamento accade per i libri da scrivere e quelli da leggere. Se le ultime statistiche confermano che il tasso di lettura si sta abbassando ogni anno di un altro po’, soffocato com’è dalle mille ore spese sui mille schermi, è invece stranamente vero che è in forte aumento il numero di quelli che scrivono. Tantissimi hanno un romanzo nel cassetto, pochi hanno un libro sul comodino. Se è vero che dovrebbe parlare chi ha qualcosa da dire e per il resto sarebbe bene stare ad ascoltare, è analogicamente anche vero che dovrebbe scrivere chi ha qualcosa da esprimere e lo sa fare, per il resto sarebbe bene tuffarsi nel piacere della lettura. C’è come una grande corsa a pubblicare, a mettere il proprio nome sotto una narrazione, una autobiografia, una ridda di giudizi, un parlare di sé per farsi leggere dagli altri. Scrivo, pubblico, ergo sum. Lo diceva già Oscar Wilde: «Tutti pubblicano libri ad eccezione di quelli che per fortuna resistono alla tentazione di farlo». Ancora più lapidario Borges: «Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto, io sono orgoglioso di quelle che ho letto». Poi naturalmente sia Wilde sia Borges erano anche furbi e loro comunque i libri li scrivevano e li pubblicavano. Ma erano buoni libri, i loro. Ascoltare e leggere arricchisce, parlare a vanvera e scrivere senza avere molto da dire o senza saperlo fare non serve a niente e spesso infesta un’aria già molto gonfia di cose. Spero di non aver ecceduto , battendo sui tasti, in un esercizio, a mia volta, di verbosità scritta ma volevo solo ricordare , a me stesso prima che agli altri, quanto sia prezioso ascoltare per capire (qualcuno, qualcosa) e quanto sia affascinante leggere per provare piacere, per cambiare, per comprendere, per immaginare.