Tangentopoli e la coscienza sporca

Il decennale della scomparsa di Bettino Craxi
Piero Ostellino
21.01.2010 05:30

di PIERO OSTELLINO - Il decennale della scomparsa di Bettino Craxi era un?ottima occasione per ripensare criticamente Tangentopoli e Mani pulite e chiedersi perché l?ex segretario del PSI – del quale sono state tessute le lodi come uomo politico, riformatore e persino statista – sia stato, allora, fatto fuori e per di più, come ha detto persino il presidente della Repubblica, quel galantuomo di Giorgio Napolitano nella lettera alla vedova, con tanta «durezza». Nessuno se lo è chiesto perché Tangentopoli e Mani pulite rappresentano la coscienza sporca degli italiani. Si è preferito discutere se intitolare o no una via di Milano a Bettino Craxi; un argomento futile per evitare quello più impegnativo. Parlarne non conviene al Partito democratico, che di Mani pulite è stato beneficiario politicamente, anche se poi non ha saputo spiegarsi politicamente il successo di Berlusconi. Non conviene a media e intellettuali, che avevano legittimato l?ondata antipolitica e ancora adesso confondono la Giustizia col giustizialismo e i processi in piazza. Eppure, era stato lo stesso Craxi – nel discorso del 3 luglio 1992 alla Camera dei deputati – a offrire alla classe politica di allora il «metodo» su cui riflettere e col quale uscire dalla crisi. «Ciò che bisogna dire, e che tutti sanno benissimo, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale? Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale? Un finanziamento irregolare o illegale al sistema politico, per quante reazioni e giudizi negativi possa comportare e per quante degenerazioni possa aver generato, non è e non può essere considerato un esplosivo per far saltare un sistema, per delegittimare una classe politica, per creare un clima nel quale di certo non possono nascere né le correzioni che si impongono né un?opera di risanamento efficace, ma solo la disgregazione e l?avventura». Il suo era un appello all?«etica della responsabilità», che è, poi, l?etica della politica, e che si preoccupa delle conseguenze del-l?«etica dei principi», ben consapevole che la sua applicazione può essere ben peggiore della sua abdicazione. Ma il Paese, la magistratura inquirente, quella parte della classe politica che si illudeva di potere trarre beneficio dallo scandalo in cui erano precipitati i partiti di Governo non seppe o non volle, anche per viltà, tenerne conto. Quel che è peggio, pare non saperne o volerne tener conto ancor oggi per conformismo. Lo racconta, in un bellissimo articolo-testimonianza, una fonte non sospetta, Pietro Sansonetti, allora vicedirettore dell?Unità. Ne riassumo in pillole il pensiero: «Credo – scrive – che Bettino Craxi sia stato l?ultimo difensore dell?autonomia della politica? La prima impressione è che con l?inchiesta Mani pulite? i giudici mettano sotto scacco sia la politica sia l?economia? Quando l?inchiesta si conclude?l?economia non è neppure scalfita? L?ultimo discorso di Bettino Craxi, quello della chiamata di «correo»verso tutto il mondo politico, ha una sua grandezza ma è anche la dichiarazione di sconfitta, di resa? Giovanni Conso, in quel momento ministro della Giustizia, varò un decreto giusto? che distingueva tra finanziamento dei partiti e corruzione? tra irregolarità e furti? I responsabili del Corriere della sera, della Stampa, di Repubblica e dell?Unità si consultavano alle sette di sera e decidevano come fare la prima pagina? Decidemmo che il decreto andava affossato? Il giorno dopo i quattro giornali avevano tutti l?editoriale contro. Il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, non firmò il decreto. Conso lo ritirò» (Craxi e la sera della politica, Il Foglio, 19 gennaio). Sansonetti è un vecchio marxista; io sono un vecchio liberale. Ma condivido totalmente ciò che ha scritto. Tangentopoli era stata la risposta del sistema economico alle aperture dell?Italia, con l?ingresso nella Comunità europea e alla concorrenza internazionale, al pericolo di una sua estensione alla concorrenza interna. Il tarlo della corruzione tangentista stava nella scarsa o nessuna trasparenza dei bilanci di tante aziende. Guido Carli, cui si devono queste riflessioni nelle sue memorie postume, aveva, al riguardo, proposto l?adozione di uno «Statuto dell?impresa» che separasse quanto c?era di protezionismo e di assistenzialismo pubblico e quanto di pura imprenditorialità nell?industria italiana. Ma la sua proposta era stata bocciata all?unanimità dalla Giunta della Confindustria che lui stesso presiedeva. Con Tangentopoli, era nato – nella rappresentazione che ne avevano dato i media di proprietà del mondo industriale – un sistema di corrotti (i politici) senza corruttori (gli imprenditori). Letto  retrospettivamente, il discorso di Craxi diceva in buona sostanza che se tutti pagavano le tangenti e tutti le prendevano, il caso non poteva essere giudiziario, ma era politico e dalla Politica (con la P maiuscola) doveva essere risolto. Ma la politica (con la p minuscola) abdicò alle proprie funzioni e si consegnò nelle mani della magistratura che fece il suo mestiere con spirito rivoluzionario e vocazione palingenetica. E il Paese – dove la corruzione ha un tasso più alto di allora, soprattutto a livello locale – non ne è ancora uscito. Con Mani pulite non ha vinto – come crede Sansonetti da marxista – il liberismo di un sistema economico che si era liberato della Politica, ma l?opposto, il capitalismo delle rendite e dei sussidi, parassitario e nemico della concorrenza; si sono saldate l?Italia collettivista e «sovietica» dell?Ordinamento giuridico nato col compromesso del 1948 (la Costituzione che parla della democrazia italiana «fondata sul lavoro» e «riconosce» la proprietà privata come una fatalità condizionata all?«utilità sociale», (che non sa che cosa sia) e l?Ordinamento corporativo ereditato dal fascismo. Un capolavoro di sintesi neototalitaria; ha trionfato l?Italia del Gattopardo, dove si cambia sempre qualcosa affinché non cambi nulla e tutto rimanga come prima se non peggio di prima. Come ha scritto Sansonetti, allora il Corriere della sera era dalla parte di Mani pulite e, quel che è peggio,coordinava la sua linea politica – fondamentalmente sbagliata – con quella di altri giornali, venendo meno a un principio sacro dell?informazione: l?indipendenza e l?autonomia critica e di giudizio. Faceva, probabilmente, gli interessi del suo editore di riferimento, la grande industria, che era per il compromesso storico fra Democrazia cristiana e Partito comunista, ed era perciò contrario a Craxi e al Partito socialista che prefiguravano una via riformista alla modernizzazione del Paese. Ma, a onore del direttore di allora, Paolo Mieli, bisogna anche aggiungere che consentì a me di scrivere editoriali diametralmente opposti alla sua linea e in linea con quanto sto scrivendo qui, ora, e quanto anche altri adesso pensano. L?Italia è spesso un Paese di «pluralismo delle convenienze», ma privo di convinzioni. Però, qualcuno che qualche convinzione ce l?ha e la esprime c?è. Ho scritto, paradossalmente, che quel qualcuno sono spesso io stesso, nella veste del buffone scespiriano, cui è concesso di dire che «il re è nudo». Ma aggiungo anche che – ancorché in tale veste – c?è ancora un giornale nel mio Paese dove lo posso fare. Si chiama Corriere della sera.