Ticino poco conosciuto oltralpe

di IWAN RICKENBACHER - «Ciò che si sa, eppure non si conosce» era il titolo di una trasmissione radio per bambini durante la quale si poteva chiedere perché una lampada illumina oppure perché un insetto può rimanere attaccato perpendicolarmente ad una parete. Il titolo di questa trasmissione ben si attaglia credo alla reazione che avrebbero gli Svizzeri tedeschi se gli si chiedesse che cosa sta mobilitando oggi i ticinesi. L'8 febbraio 2009 la maggioranza dei Ticinesi ha detto no - come Glarona, Svitto e Appenzello Interno - alla conferma della Libera circolazione delle persone e la sua estensione a Bulgaria e Romania. Col 66% di voti contrari espressi, il no ticinese è stato largamente il più massiccio. L'eco nella Svizzera tedesca al no ticinese è stata debole. I commenti sono stati molto più reticenti di quelli che ci sarebbero stati nel caso di una frattura fra Svizzera tedesca e Svizzera francese. Di un Polentagraben non si parla volentieri nella Svizzera tedesca. Non si inserisce bene nello stereotipo che si è andato costruendo. Del cliché fanno parte la Sonnenstube, Ticino e Vino, il paese del Bengodi, il paradiso-rifugio dei milionari tedeschi. Si evoca la diversa mentalità dei latini e la lotta per le Officine viene ridotta a un problema di comunicazione. La Monteforno è caduta nel dimenticatoio da anni. Sono in pochi a conoscere la situazione economica del Cantone prima che fosse aperta la linea ferroviaria del San Gottardo. Nessuno è consapevole del fatto che tutte le altre regioni transfrontaliere svizzere godono di condizioni molto più favorevoli. Il Voralberg austriaco è un hinterland della regione di San Gallo; Basilea è il centro economico e culturale di una grande regione metropolitana transfrontaliera. E Ginevra è il centro internazionale di un'ampia regione che si estende al di là della vicina Francia e che non ha concorrenza alcuna oltre confine. Il Sud delle Alpi si trova invece a fare i conti con una metropoli industriale pulsante come Milano, con la concorrenza transfrontaliera che ciò produce. E dove le regole di concorrenza potrebbero essere ancora sostenibili, si scontra con la cappa di piombo di una burocrazia italiana alla quale solo gli indigeni riescono - quando riescono - a sfuggire. I Confederati non sanno ancora come potrebbero valorizzare una regione periferica strutturalmente debole. Finora si sono fatti idee e progetti nei confronti di insediamenti decentralizzati in regioni di montagna. Ma le terre abitate dalla maggioranza dei ticinesi non appartengono a regioni di montagna. E le immagini che si fanno di una regione periferica oltre San Gottardo sono altre: quelle di una solida economia turgoviese o sciaffusana, o di Basilea con le sue industrie chimiche oppure del Giura con la sua industria orologiera. Cosa bisognerebbe fare? Forse ciò che io provo a fare come svizzero tedesco sulle colonne del Corriere del Ticino: portare uno sguardo dall'esterno. Ci vorrebbero più voci di ticinesi sui media svizzeri che contribuiscano con il proprio bagaglio di esperienze specifiche ad illustrare le sfide comuni della Svizzera. Gli stessi portavoce delle Pro Ticino Oltralpe dovrebbero prendere la parola sui media locali non solo per annunciare la castagnata autunnale: dovrebbero scrivere lettere per spiegare come il Sud delle Alpi percepisce alcune decisioni prese a Nord delle Alpi. Il futuro del Grand Hotel di Locarno, per fare un esempio, viene presentato quasi unicamente dal punto di vista degli investitori svizzero-tedeschi e non da quello dei Ticinesi. E poi ci vorrebbe un concetto di politica regionale specifico per il Ticino e le valli a Sud delle Alpi. A cominciare dal Ticino stesso, che deve trovare una soluzione comune e di compromesso fra la speranza che la salvezza venga dalla piazza economico-finanziaria di Lugano e quella che la Confederazione aiuti sempre e in ogni situazione. Ma poi ci vuole un Progetto Ticino specifico da parte della Confederazione, perché la situazione di questo Cantone è particolare e non paragonabile. È purtroppo uno svantaggio considerevole il fatto che dopo il ritiro di Flavio Cotti nessun Ticinese faccia più parte del Governo del Paese. Come è uno svantaggio il fatto che alla testa dell'Amministrazione federale e delle aziende controllate dallo Stato operino pochi svizzero-italiani. Manca ancora la sensibilità necessaria affinché in occasione della prossima elezione o della prossima scelta di dirigenti di alto rango questa situazione possa essere modificata. Forse perché si conosce troppo poco ciò che si crede di sapere.