Fogli al vento

Tschüss Ticino

La rubrica di Michele Fazioli
© CdT/Chiara Zocchetti
Michele Fazioli
Michele Fazioli
18.10.2021 06:00

Era dai tempi dei landfogti che in Ticino non vedevamo così tanti svizzeri tedeschi. Sabato mattina in centro a Bellinzona ho udito in sottofondo continuo la colonna sonora asprigna e simpatica, predominante, dello schwitzerdütsch. Gongolano commercianti, esercenti e albergatori e siamo tutti contenti. I visitatori confederati sono gentili, non sono chiassosi, hanno buon gusto nell’apprezzare il bello e il buono, chiese romaniche e merlot. Questi qui che affollano ora le nostre contrade sono poi certamente più gradevoli dei signorotti dell’aristocrazia dei cantoni primitivi che per un paio di secoli ci hanno amministrati come colonie. Siamo stati a lungo un popolo soggetto a dominio. Però ci è andata bene, dai. I confederati ci hanno insufflato nelle vene la svizzerità diligente e affidabile di una tradizione collaudata, ci hanno in qualche modo forgiato il carattere, che di per sè è lombardo-latino, dandoci un mossa più pragmatica. E al momento buono, quando dalla Francia post-rivoluzionaria e dalla repubblica cisalpina lombarda spiravano verso le terre ticinesi venti di libertà e voglie giacobine, la saggezza dei ticinesi moderati fu provvidenziale: «Cari balivi, adesso la vogliamo anche noi un po’ di libertà. Però ci fanno paura questi qui che vorrebbero ribaltare tutto il nostro antico sistema di istituzioni, valori e religione. Facciamo così: dateci la libertà ma fateci stare con voi. Liberi, ma Svizzeri». E così abbiamo costruito la nostra appartenenza definitiva al rassicurante sistema politico, culturale e civile di questa nazione frutto non della geografia ma della volontà e della storia.

Poi nell’800 la nostra giovane indipendenza ebbe scosse di assestamento con randellate e fucilate fra opposte fazioni e qualche volta i Confederati dovettero farsi vivi con autorità, mandando pacificatori e truppe. Ma alla fine ci siamo assestati, liberi e svizzeri, contenti di esserlo. Mi ha preso la mano, questa storia degli svizzero tedeschi, e vado avanti. La prima scoperta del Ticino da parte degli svizzeri tedeschi avvenne quando dopo il 1870 la nuova ferrovia velocizzò le comunicazioni. Portati dagli sbuffi del vapore giunsero in riva ai nostri laghi migliaia di confederati che scoprivano clima, camelie, palme. Fu la nascita ufficiale del turismo di massa in Ticino, dopo i settecenteschi viaggi elitari delle aristocrazie nel Grand Tour verso sud. Negli anni ’20 e ’30 del ’900, ecco un’altra ondata. Durante la Guerra 14-18 migliaia di soldati svizzeri furono mobilitati per presidiare le frontiere minacciate e il comando militare elvetico per evitare possibili contaminazioni fra soldati svizzeri e truppe straniere di uguale lingua, rimescolò le carte: «Voi svizzeri tedeschi correte in Ticino ad armare la frontiera sud, voi ticinesi correte a nord». Fatto sta che tutti quei militi confederati che prestarono servizio in Ticino, a guerra finita, appena girò qualche franco e vennero concesse ragionevoli vacanze, vollero mostrare ai loro cari i nostri dolci colli vignati.

Lo stesso fenomeno capitò poi per tutti quei militi confederati che avevano assolto la loro scuola reclute in Ticino e poi, messa su pancia e famiglia, vollero tornare con mogli e figli a rivedere i luoghi della loro giovanile stagione in fanteria o artiglieria. E adesso eccoci qua, con questa ondata turistica interna da pandemia cautelativa. Questa rinnovata contaminazione benefica confederale non può che far piacere. Gli svizzeri tedeschi fanno parte della nostra cultura sociale, e questo è il miracolo svizzero. Ognuno ha la sua esperienza, io ho la mia. Per vent’anni ho fatto parte della cosiddetta Chef-Redaktoren Konferenz della SSR, che si riuniva ogni mese oltre Gottardo. Posso dire che per allegra sintonia latina, con i romandi era tutta una simpatia. Ma poi quando si trattava di difendere un nostro principio di minoranza italofona, gli svizzero tedeschi erano affidabili, solidali e concreti. Dei romandi invece non ci si poteva fidare troppo: minoranza anche loro, talvolta snobbavano la nostra. Gli svizzeri tedeschi, al netto di qualche rigorismo e di qualche eccessiva dipendenza da regole e cronometri, mi sono sempre piaciuti, con il loro ordine urbanistico, le campagne curate, la loro edfficienza, i grandi scrittori vecchi e nuovi, i giornalisti efficaci. Talvolta qualcuno di loro vuole farci la predica e insegnarci le buone maniere etiche, ma noi a nostra volta cediamo in qualche caso al piagnisteo e al rivendicazionismo indistinto, costretti nel nostro microcosmo un po’ provinciale, chiuso dalla frontiera politica a sud e da quella culturale a nord. Benvenuti, dunque, cari confederati.