Un altro scatolone di sabbia?

Gerardo Morina
Gerardo Morina
21.03.2011 05:00

di GERARDO MORINA - È certamente un caso, ma l?attacco della coalizione internazionale scattato contro la Libia avviene a cent?anni dalla decisione del governo Giolitti di occupare la Tripolitania e la Cirenaica, dando vita alla formazione della colonia della Libia italiana, che durò ufficialmente fino al 1947.Questa volta non si tratta ovviamente di un?occupazione, ma torna alla memoria la definizione della Libia come «scatolone di sabbia» data in seguito dai socialisti Turati,Salvemini e Nitti che misero in guardia contro le facili illusioni dell?impresa. L?immagine dello scatolone di sabbia evoca comunque anche oggi i rischi che anche le migliori intenzioni si possano arenare in un?iniziativa dall?esito tutt?altro che scontato.L?obiettivo della coalizione fissato dalle Nazioni Unite è «proteggere i civili con qualsiasi mezzo» imponendo una «no fly zone» per impedire alle forze di Gheddafi di eliminare i ribelli e favorire così la defenestrazione del colonnello. Non si tratta di un?invasione, ma di un intervento mirato e circoscitto, volto ad evitare bagni di sangue; inoltre l?operazione è sostenuta da una copertura del Consiglio di Sicurezza, ha ricevuto l?approvazione della Lega araba (anche se proprio quest?ultima ieri ha cominciato a mostrare segni di insofferenza e scetticismo) e raccolto l?approvazione dei maggiori Paesi europei, eccezion fatta per la Germania. Tuttavia su questo impianto generale si innestano tre fattori che rappresentano altrettante incognite. Il primo è il fattore tempo. «Giorni non settimane» ha raccomandato Obama ai suoi generali, ma il Pentagono ha precisato che la durata delle operazioni non è prevedibile. La loro rapidità è quindi tutt?altro che sicura, dal momento che, come ha osservato lo stratega militare italiano Carlo Jean, le operazioni si svolgono soprattutto in una fascia costiera profonda una trentina di chilometri e non è detto che i soli attacchi aerei possano bloccare l?avanzata di Gheddafi verso est. Né (e qui veniamo al secondo fattore) si può sottovalutare il fatto che lo stesso Gheddafi, dalla rivolta di Bengasi iniziata il 17 febbraio e dopo una fase iniziale in cui sembrava avviato a capitolare, ha potuto poggiare su aiuti militari esterni (da Paesi come Siria e Sudan) e ha pagato profumatamente sia i mercenari sia la fedeltà delle tribù della Tripolitania. In più, terzo ed ultimo fattore, il colonnello, che ha detto apertamente di intendere fare uso di scudi umani, potrebbe facilmente impiegare la contro-arma delle ritorsioni contro l?Occidente «crociato e colonialista», senza escludere il ricorso ad azioni terroristiche.Su un piano più allargato, il lato interessante e nuovo dell?attacco alla Libia è il modo in cui esso ha ridisegnato gli equilibri all?interno dell?Unione europea e il quadro che emerge dall?insolita posizione degli Stati Uniti. Con il rifiuto di Berlino a partecipare all?intervento militare in Libia, non si è propriamente rotto l?asse franco-tedesco. C?è stata semmai una chiara divisione di compiti e di ruoli. La Germania dimostra di non voler esercitare una leadership internazionale, le basta il ruolo di tutrice della disciplina finanziaria europea. A diventare protagonista sullo scacchiere internazionale è invece Nicolas Sarkozy che, approfittando dell?esitazione dell?America e spinto dalla necessità di recuperare prestigio domestico e di far dimenticare i legami tra il suo governo e il regime di Ben Ali in Tunisia, ha capito che il post-Gheddafi andava gestito in attacco e non in difesa e ha così deciso di farsi diretto promotore della caduta del Rais. Parigi ha trovato inoltre una facile partnership nell?interventismo del premier britannico David Cameron, un?alleanza che deriva non solo da comuni interessi petroliferi ma anche da accordi bilaterali già realizzati nel campo della Difesa, nonché dal peso preponderante di francesi e inglesi nel Servizio diplomatico europeo disposto dal Trattato di Lisbona.Singolare è infine la posizione mostrata in questa occasione dal presidente Obama, una posizione fino all?ultimo defilata e riluttante nel rimarcare la leadership americana. Al punto che il compito di fare da battistrada è stato lasciato a Sarkozy, senza tuttavia negare all?iniziativa francese il supporto dei mezzi offerti da Washinton. Il motivo: il nuovo ruolo scelto dall?amministrazione USA. Non più quello di poliziotto del pianeta ma, dove possibile,fautore di una «regime alteration», soprattutto nei Paesi islamici.