Un match sul ring della vita

Giovanni Galli
17.10.2013 06:00

di GIOVANNI GALLI - Di fronte alla sofferenza e alla malattia non ci sono colori politici che tengano. I colleghi di Governo, i collaboratori del Dipartimento, tutti quelli che in questi mesi hanno avuto occasione di conoscerlo più da vicino, fino ai semplici cittadini che hanno postato messaggi di incoraggiamento e solidarietà sui social network, si sono idealmente stretti attorno a Michele Barra. Abituato quand?era manager a seguire gli incontri di pugilato a bordo ring, Barra stavolta ha dovuto salirci per la sfida della vita, contro un avversario subdolo e implacabile. E sta lottando con coraggio, com?è nella sua indole, per ricacciarlo nell?angolo, dopo essere colpito proditoriamente sotto la cintura, prima ancora di sapere del combattimento. Sul ring Barra ci è andato con la consapevolezza di doversi confrontare fino all?ultima ripresa, ma anche con la speranza di scenderne vittorioso. Non ha rassegnato le dimissioni, ha solo chiesto un congedo, segno che vuole tornare al suo posto. Per riprendere, da dove l?aveva lasciata un?attività con cui ha cominciato a familiarizzare e nella quale ha già avuto modo, nonostante la breve esperienza, di distinguersi. Dall?annosa questione dei rustici al controverso dossier privato sui padroncini, il consigliere di Stato leghista ha portato in Governo uno stile schietto, pragmatico e poco formale, non facendo nulla per nascondere la deformazione professionale di dirigente d?impresa.  Anche a prezzo di qualche ingenuità, che in un mondo pieno di trabocchetti e di insidie come quello della politica gli è costata attacchi sciacalleschi, proprio nel momento per lui più difficile dal punto di vista personale.
È inutile negarlo. Le circostanze che hanno preceduto il suo ingresso in Governo hanno sollevato più di una perplessità. E l?eloquio non propriamente da ministro, unito all?inconfondibile abbigliamento casual, hanno fatto dubitare che quello di consigliere di Stato fosse per lui il posto giusto. Ma con altrettanta franchezza bisogna riconoscere che Barra finora ha saputo dimostrare il fatto suo. È subentrato a Marco Borradori alla direzione di un dipartimento multiforme e alle prese con tematiche complesse. Il collaudo sembra essere stato più rapido di quanto si pronosticasse, anche perché Barra si è subito sintonizzato con i funzionari; una categoria presa spesso a pesci in faccia dal giornale del suo partito, ma che lui, come dimostrano i fatti degli ultimi giorni, pur potendolo non ha scaricato.  «È uno che si sa dove sta e che si è fatto voler bene» ha chiosato in confidenza un suo collega di Governo, appartenente ad un altro partito. Prima di entrare in Consiglio di Stato aveva detto che intendeva mettere  al centro della sua azione politica il lavoro. Lo ha fatto un po? bruscamente con il documento sui padroncini, da lui stesso commissionato e che si è sovrapposto alle iniziative già avviate dal Governo. Un modo di fare opinabile e anche molto criticato, ma che dal profilo della determinazione ad affrontare il problema ha fornito un impulso importante al collegio.
La malattia è un fatto privato, ma quando di mezzo c?è un personaggio pubblico, fatti salvi i principi basilari del buongusto, anch?essa diventa pubblica. Barra è stato estremamente riservato, anche con i suoi stessi colleghi e amici, consci sì della gravità ma colti in contropiede dall?improvviso peggioramento delle sue condizioni di salute. Altre personalità in passato, in circostanze analoghe, non avevano esitato a manifestarsi in pubblico. Come nel caso del vescovo Eugenio Corecco, che nel 1994 scrisse una lettera ai parroci affinché informassero i fedeli e poi andò in televisione a parlare della sua malattia. Oppure, quattro anni dopo, il consigliere federale Jean-Pascal Delamuraz, che colpito da un tumore al fegato, si presentò alla stampa per annunciare le sue dimissioni, dicendo che riteneva irresponsabile esporre il suo dipartimento al rischio di un?assenza imprevista. Barra per ora ha fatto un?altra scelta, più in linea con il suo carattere schietto e riservato, poco propenso alla ribalta, un atteggiamento tipico di chi non cerca commiserazione e che non vuol caricare sugli altri il peso della sua condizione. Anche questa è una scelta di grande dignità, fatta per evitare clamori e proteggere chi gli sta intorno. Quando in giugno venne criticato per l?assenza durante la discussione sul consuntivo del suo dipartimento, si limitò ad una secca replica: «Ieri ero assente per motivi importanti, inderogabili, che non auguro a nessuno. Basta e chiuso». Non voleva il pubblico. Ora però ce l?ha e sa che attorno al ring fanno tutti il tifo per lui.

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