Un paese che ha perso la bussola

È stato il tormentone della settimana ticinese. Immeritatamente.
Bruno Costantini
19.05.2017 02:05

di BRUNO COSTANTINI - Un personaggetto noto in Italia per le sue fanfaronate da presunto rapper, che si fa chiamare Bello Figo e che ha trovato il modo per far quattrini sul vuoto (ma sono i fenomeni «social» come l'apocalittico posteriore delle sorelle Kardashian), è divenuto qualcuno anche da noi. È stato il tormentone della settimana ticinese. Immeritatamente. Il tutto perché un paio di personaggetti questa volta nostrani, appartenenti alla categoria di coloro che sfortunatamente erano in un rifugio antiatomico quando dal cielo è piovuta l'intelligenza, hanno minacciato, con tanto di svastica sui volantini, «gravi conseguenze» per il locale luganese in cui avrebbe dovuto esibirsi il signor Bello Figo. La spacconata, perché tale sembra essere, è finita tra lacrime e pentimenti davanti al procuratore generale, ma intanto il concerto è stato annullato e il dibattito sul grande principio è stato avviato: giusto o sbagliato annullare l'esibizione e limitare la libertà d'espressione di fronte a una minaccia? La scelta non è necessariamente scontata e chiama in causa i valori fondanti della nostra società liberale. Concetti, tuttavia, forse un po' troppo grandi per una vicenda tra personaggetti che non meritano eccessivi lambiccamenti, benché le conseguenze della stupidità, indipendentemente dalla matrice, non vadano mai sottovalutate.

La settimana ticinese ce ne ha data conferma, con la condanna di un ultrà tifoso dell'HCL e soprattutto con quanto nuovamente emerso dal mondo del calcio giovanile. Zuffe, violenze, insulti e minacce, in particolare contro i giovani arbitri: un copione già visto, che porta con sé la retorica paludata dell'ipocrita indignazione. E via con il coro unanime degli «adesso basta!». E con il solito quesito: che fare? (Negli anni, quante domande ci siamo posti. Droga: che fare? Cambiamenti climatici: che fare? Postfordismo: che fare? Essere cornuti: che fare?).
Constatata l'inutilità di multe e ammonimenti, la Federazione ticinese di calcio ha dato l'unica risposta che poteva dare, decretando un turno di sospensione affinché club, dirigenti e allenatori si diano una regolata. Poi ci sono le pesanti corresponsabilità di quei genitori fomentatori di violenza mentre i pargoli sgambettano sui campi. Quello che il collega Giona Carcano ha definito il «Far West del pallone» (cfr. CdT di mercoledì scorso) non è dunque un mondo a parte e per questa ragione è difficile immaginare di ripulire l'aria con sanzioni e turni sospesi. Quel che non avviene sui campi di calcio avviene altrove e i fatti di cronaca lo testimoniano.

Per mettere fine all'indecenza c'è anche chi chiede l'intervento salvifico della politica, ma casca molto male. La politica potrà forse agire tramite la scuola e inventare qualcosa in riferimento all'uso delle infrastrutture sportive pubbliche, potrebbe pure cercare soluzioni nel vasto repertorio identitario (purghe «primanostriste» nelle squadre dei ragazzi?), ma non ha più una grande autorevolezza per essere un riferimento nella società. Linguaggio e comportamenti a volte non sono dissimili da quelli della tifoseria da stadio. Non rimpiangiamo i vecchi partiti con il loro verticismo che non ammetteva dissensi e con il loro capillare controllo della società e delle coscienze (e persino delle bande musicali), però bisogna ammettere che queste strutture, in qualche modo, erano anche agenzie culturali che, assieme ad altre istituzioni, promuovevamo idee e valori, bussole non infallibili, ma utili per confrontarsi e orientarsi. Oggi si diffondono post, tweet e selfie; le gerarchie dei valori si misurano in like e followers.

Ma non tutto è perduto: ottimismo e progettualità restano alti. Anche in campo sportivo. Con le sue «notizie da Marte», un nostro lettore negli scorsi giorni ha ben riassunto il fermento di questi tempi: «Nel triangolo delle Bermude tra Bedretto e Pedrinate siamo tutti molto, ma molto sportivi. Ed è così che si spenderanno magari quarantadue milioni e spiccioli per una pista a Quinto, una decina per un velodromo a Losone, almeno una cinquantina a Cornaredo, ed eventualmente altri anche a Castione». Avremo perso molti valori, però crediamo sempre in qualcosa, troviamo sempre un Tewanna Ray, il finto e fascinoso pellerossa che negli anni Venti del secolo scorso, dopo aver sedotto i fascisti italiani (e le loro donne), incantò e truffò anche i ticinesi con il suo miracoloso olio di serpente. Quanti miracoli ci aspettiamo ancora? E allora, tirando le somme di questa settimana ticinese, registriamo con sollievo l'appello del presidente degli industriali Fabio Regazzi affinché la politica riscopra il buon senso.

Un richiamo di parte, ovviamente, ma che vogliamo interpretare con un significato più generale, indirizzato non solo alla politica, perché l'intera nostra società ha bisogno di riscoprire il buon senso per mettere un argine a certe derive. È così difficile ritornare a una sana normalità di un Paese normale? Viene in mente il Manzoni dei «Promessi sposi»: «Il buon senso c'era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».