Un prete tridentino come modello?

Il «santo curato d'Ars» e il sacerdote di oggi
Carlo Silini
20.06.2009 05:00

di CARLO SILINI - Jean-Marie Vianney è la quintessenza dell?ideale cattolico di prete dell?Ottocento. Morto 150 anni fa, il «santo curato d?Ars» è descritto dalle biografie popolari come un uomo umile, intriso di senso del sacrificio («deux pommes de terre par jour pour seule pitance»), costantemente in lotta contro il demonio; un ricercatissimo e illuminato stakanovista del confessionale (dove raccoglieva le confidenze dei penitenti fino a 16 ore al giorno). L?importante rivista cattolica francese «La Croix», che non si può definire dissidente, ritiene il suo profilo «tipico del prete tridentino», ovvero del sacerdote «ridisegnato» dai testi del Concilio di Trento, svoltosi, con qualche interruzione, dal 1545 al 1563. Ed esprime un certo stupore per la scelta del santo, da parte del Papa, come modello per i sacerdoti contemporanei. Benedetto XVI, infatti, venerdì scorso ha inaugurato un «anno sacerdotale» e lo ha posto sotto la protezione e l?esempio del celebre parroco di campagna francese. «In che cosa i giovani preti potranno attingervi per rispondere alle sfide della società urbana e secolarizzata di oggi?», si chiede «La Croix». Al di là delle esagerazioni agiografiche che probabilmente hanno toccato anche la sua figura, nessuno può dubitare della robustezza spirituale di Jean-Marie Vianney. Il Papa stesso ha ricordato le sue parole: «La grande sventura per noi parroci è che l?anima si intorpidisce». Anche solo questa sua passione per l?«anima» (concetto centrale quanto poco esplorato dalla sensibilità cristiana contemporanea) basterebbe per proporre il curato ottocentesco all?attenzione di tutti. Il che non significa che sia il prototipo più adatto per il prete dei nostri tempi. È vero che un clero se non più santo, almeno più virtuoso (nella castità, dopo i delicati episodi degli abusi sessuali; e nella povertà, di fronte alle tentazioni di arricchimento materiale degli ecclesiastici che maneggiano molto denaro) sarebbe più credibile e verrebbe accolto con maggior favore. Ma i sacerdoti sognati dal Papa, oltre che santi, si distinguono soprattutto per la loro alterità rispetto ai laici: «presenti, identificabili e riconoscibili» dai fedeli, «sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l?abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa». Come i preti di una volta, potremmo concludere, i quali, assieme al sindaco e al medico, rappresentavano i punti di riferimento assoluti del villaggio. Ma questo sogno fino a che punto fa i conti con la realtà? Il curato d?Ars, oggi, probabilmente non sarebbe meno santo, ma certamente sarebbe più solo. Non godrebbe più del sostegno naturale ed automatico di un popolo che oggi ha moltiplicato i propri referenti sociali (dallo psichiatra all?estetista), filosofici (dal maestro di yoga allo scienziato-scientista) e religiosi (dall?imam al manager geniale; perché anche il mercato, per molti, è una forma di religione). Bastano davvero le nude armi della preghiera e della devozione per far fronte ai parrocchiani secolarizzati delle nostre terre? Don Jean-Marie Vianney, spiegano le biografie, era ricco di passione spirituale e – immaginiamo – di spessore umano, ma non era colto. Anche secondo i ritratti più benevoli, faceva fatica negli studi. In una civiltà come la nostra, nella quale il livello di istruzione è assai più alto rispetto alla media ottocentesca, è sufficiente per un prete rispondere alle esigenze intellettuali della sua comunità con le formule del catechismo, i rosari, il «lavoro» dentro i confessionali (peraltro deserti) e, magari, le messe in latino?C?è poi un altro problema. Non è che con l?esaltazione dell?alterità del prete (il Papa ha parlato addirittura di una sua diversità «ontologica» rispetto ai semplici battezzati) si finisca col disconoscere la missione sacerdotale di qualsiasi credente? Nelle teologia cattolica del Vaticano II ogni cristiano è in un qualche modo «sacerdote, profeta e re» nel mondo. Non è questa la sede per spiegare nel dettaglio il significato di tale dottrina. Limitiamoci ad osservare che la riflessione teologica della seconda metà del Novecento, cristallizzata nelle norme del Codice di diritto canonico, riconosce un ruolo molto più attivo dei laici nella gestione della Chiesa. Non è un caso che da più parti, anche per far fronte alla crisi di vocazioni in Europa, si levino voci all?interno del laicato cattolico (come è appena successo in Austria) per una riconsiderazione del celibato obbligatorio dei preti e dell?impossibilità delle donne di accedere al sacerdozio. Prospettive lontanissime dall?antico modello (fedeli da una parte, clero dall?altra) riproposto da Ratzinger. Non si rischia ora un ritorno ad una Chiesa clericocentrica?