Ungaretti e Luzi voci nell'infinito

Due anniversari accostano due figure della letteratura del Novecento, Giuseppe Ungaretti e Mario Luzi, che sarà ricordato anche a Lugano in questi giorni di festival di poesia. Ungaretti è stato il primo italiano artefice dei cambiamenti della poesia e ha mancato il Nobel per un errore grossolano: aveva scritto una poesia per Mussolini. Ma restò fra i più apprezzati, anche dai colleghi poeti. È stato toccante nei giorni scorsi vedere in televisione il filmato con Montale che lo loda e lo abbraccia accanto ad altre belle firme. Si diceva una volta che i vecchi sono come i bambini e Ungaretti confermava che era vero. Rimasero intatti i suoi occhi azzurri quasi grigi anche nelle avversità. Rimasero intatti nelle bufere della vita, come nei ragazzi che giorno dopo giorno scoprono i prodigi della vita rimanendone abbagliati. Quel mito del vecchio senza età parte da quando, sfiorato dalle fucilerie dei fronti, infonde nuova vita espressiva alla poesia e anche con un solo verso passa alla storia, innovando una classicità contemporanea: in trincea scrisse M’illumino d’immenso la sua poesia più breve, dedicata al mattino che gli recava più speranze che insidie.
L’Allegria fu il manifesto della sua poesia, che sulla scorta di Apollinaire sintetizza all’essenziale il simbolismo. I naufragi dell’esistenza in lui trovarono salvataggi elevati nelle progressioni di poesie che hanno cambiato la forma letteraria. Poesie memorabili sono quella dedicata alla madre, un monumento di commovente umanità, e quelle dedicate al figlioletto Antonietto che muore segnando la sua vita. Era stato amico e ospite del modernissimo Apollinaire e in una breve licenza corse a Parigi a trovarlo, ma, strana ironia, mentre nelle strade gridavano contro il kaiser nemico «à mort Guillaume», Ungaretti in casa trovò l’amico appena morto. La sua ultima fiamma con cui visse in Brasile fu Bruna Bianco, poetessa a sua volta e avvocata di rilievo nazionale. Se ne andò nel 1970 quando giravano i primi «capelloni» e si facevano strada i Beatles e i Rolling Stones e in quella colonna sonora i ragazzi non andavano solo ai concerti ma scoprivano la poesia di Ungaretti.
Mario Luzi, che verrà ricordato questa sera a Poestate, è un’altra delle voci elevate nella poesia del Novecento. Nell’età estrema lavorava ancora, estraeva l’oro dalla pirite della lingua. Dalla sua prima raccolta, «La barca», fino all’ultima «Dottrina dell’estremo principiante», ha cavato metallo prezioso, quasi in una prosecuzione ideale del lavoro dei minatori conosciuti nella sua infanzia sulla montagna toscana; edificava ricordando quei muratori che hanno costruito il suo «Opus florentinum». Era il più aristocratico alchimista della parola; la lingua di Luzi è il vertice emulato spesso da molti, invano; ed è grande perché continuava con arte e materia una tradizione che parte da Dante. Era un etrusco, moderno e cristiano, che ha filtrato la sua esistenza nel setaccio di maglie celesti e che soltanto attraverso la sua origine può essere compreso in tutta la sua interezza di uomo e di poeta. «Onore del vero» ne è la porta. Non era certo uomo da incontri e congedi nel precario. Ha lasciato ai fedeli dell’arte la parola dipinta con la piuma di un angelo, come se il pennello del Beato Angelico avesse trovato una vita rinnovata nella sua mano. Ora resta il fuoco delle sue poesie e dei suoi saggi a mantenere l’abisso della parola verticale. «Niente si addice alla parola più che la temperatura del fuoco». Dei molti incontri avuti con lui e diverse trasmissioni, resta acceso il ricordo della camminata intorno al laghetto di Origlio, su quel percorso lungo la carrareccia che gli evocava la sua Toscana. Raccontò del cammino degli amici poeti ed era addolorato per il ruolo subalterno che l’italiano stava assumendo. «Strumentalizzatemi pure, - aveva detto sorridendo, - per questa causa fatelo pure». I suoi rapporti con la Svizzera risalivano agli anni in cui aveva insegnato a Losanna. Poi le frequentazioni, gli amici, una splendida poesia su Zurigo, gli incontri per la nostra Radio e una sua partecipazione ai Vesperali.